Casertavecchia: itinerario di arte, storia e riflessione

I Borgonauti oggi raccontano di un borgo medievale, che ospita meno di duecento abitanti, situato a poca distanza dalla città di Caserta. Trovandosi alle pendici dei monti Tifatini, il percorso per raggiungerlo è leggermente tortuoso, ma la bellezza antica del luogo e dei suoi panorami ripaga sempre ogni visitatore. Parliamo di quella che oggi è conosciuta come Casertavecchia ma che nel Medioevo, prima che la denominazione passasse al nuovo centro abitato della pianura, era chiamata semplicemente Caserta. Non si hanno notizie certe sulle origini del borgo, ma è possibile ritrovarne delle tracce nello scritto Historia Langobardorum Beneventanorum del monaco benedettino Erchemperto, il quale indica già nell’ 861 d.C. un nucleo urbano, denominato Casahirta, dove attualmente si trova Casertavecchia. Tale espressione latina è da tradursi in “villaggio ispido o erto”, con probabile riferimento alla sua collocazione in altura o di difficile accesso.
Il Casahirta ha una storia ricca di mutamenti e alcune di essi hanno lasciato il segno di un importante sviluppo, come il secolo IX in cui le incursioni saracene e le devastazioni di Capua indussero gli abitanti e il clero delle zone circostanti a trasferirsi a Casertavecchia per godere di un rifugio sicuro. A seguito di ciò, infatti, la popolazione aumentò in modo così significativo da determinare il trasferimento della sede vescovile all’interno del borgo. Altra tappa storica importante fu l’occupazione normanna, capeggiata da Riccardo I di Aversa, che segnò una forte crescita del sito: è a questo periodo che risale, ad esempio, la costruzione dell’attuale Cattedrale di San Michele Arcangelo. Il florido progresso continuò poi con la dominazione Sveva: il borgo aumentò il proprio prestigio, grazie alla figura e alla politica del consigliere di Federico II e conte di Caserta, Riccardo de Lauro. A queste fasi di splendore subentrò poi un lungo e lento declino, cominciato col dominio Aragonese, durante il quale la vita incominciò a svilupparsi progressivamente in pianura. A Casertavecchia permase allora solo il vescovato e il seminario, che poi nell’anno 1842, per volere di Papa Gregorio XVI, furono anch’essi trasferiti nell’attuale Caserta. Il borgo si spopolò definitamente, quando i Borbone resero la città sede della bellissima Reggia, consacrandola a nuovo cuore pulsante dell’attività politica e sociale. Sarà poi dal 1960, anno dell’inserimento del luogo nella lista dei monumenti nazionali italiani, che Casertavecchia ritornerà al centro dell’interesse, seppur in maggioranza turistico, di quella stessa vita che per lungo tempo l’aveva trascurata.

Il percorso di mistero e fascino

Chiunque decida di farsi stupire da Casahirta, viene subito accontentato, perché si imbatte immediatamente in una chiesetta, posta al centro strada: la Cappella di San Rocco. Parliamo di una struttura religiosa, risalente secondo gli storici al XVII secolo, realizzata in omaggio all’omonimo santo. La costruzione ha fattezze delicate e sobrie: possiede un portico, un piccolo campanile e un unico affresco decorativo esterno, raffigurante una bellissima Madonna. La cappella è aperta al pubblico il 16 di agosto, giorno in cui si celebra la figura di San Rocco, e si ha la possibilità di scorgere un antico crocifisso ligneo, la statua del santo e quegli affreschi, realizzati tra il XVII e XVIII secolo, che hanno resistito al logoramento del tempo. La cappella con la sua semplicità insinua nell’animo di chi osserva il desiderio di ammirarla da vicino per capirne i segreti, cancellati dell’incuria e dalla solitudine. Comincia così generalmente una passeggiata a Casertavecchia: con lo stupore e la smania di scoperta.

La Cappella di San Rocco
Affreschi interni della Cappella di San Rocco

Proprio allora con il cuore carico di impazienza, si può proseguire verso un’altra meraviglia architettonica, che, imponente, si lascia ammirare dal visitatore con regale distacco: la torre normanna. Secondo alcuni studiosi, la sua costruzione fu ordinata da Riccardo di Lauro, grazie al quale il borgo conserva ancora oggi un torrione cilindrico, che con i suoi 32 metri di altezza ed un diametro di circa 10 metri è nel suo genere tra i più grandi d’Europa. Essa era munita di due accessi con ponti levatoi e di un fossato, che la rendevano impenetrabile, e aveva al proprio interno tre sale circolari sovrastanti. La torre normanna, oltre al suo primato europeo, racchiude un segreto, raccontato dai pochi abitanti del luogo, che ha il sapore di un intenso mistero: si narra che il torrione sia tuttora abitato dal fantasma della consuocera di Federico II di Svevia: Siffridina, che con l’arrivo di Carlo D’Angiò, per la sua fedeltà alla casata sveva fu rinchiusa nel Castello di Trani in Puglia. La donna trascorse i suoi ultimi anni imprigionata, sola e soffrendo la lontananza da Casertavecchia, a cui decise di tornare sotto forma di spirito dopo la sua morte, risiedendo proprio nel torrione. Quando regna il silenzio, secondo la leggenda, è ancora possibile sentirne i passi e le parole.

Il torrione del castello

Mentre l’udito si affina, sperando di carpire questi suoni nascosti, gli occhi si proiettano impazienti verso il vicino castello di Casertavecchia. Parliamo di costruzione risalente all’861, di forma poligonale, intorno al quale vi era un fossato, che fu poi fortificato da Normanni e Svevi con l’aggiunta di sei torri a pianta quadrata, assumendo così l’aspetto di un vero e proprio castello. L’obiettivo era creare una fortezza di difesa dalle aggressioni nemiche, dovute alle lotte tra le varie famiglie longobarde, che si contendevano questa area nevralgica. Di questa testimonianza storica e architettonica, da cui esercitarono la loro propria supremazia i conti Longobardi, Normanni, Aragonesi e Svevi, restano purtroppo poche rovine e una parte di cinta muraria, poiché alcuni terremoti e il logorio del tempo ne hanno danneggiato la struttura. Attualmente il sito è chiuso al pubblico e la curiosità di osservare questi resti è soddisfatta solo in rare circostanze. Quando ci si ferma davanti ai portoni in ferro chiusi, si prova un senso di amarezza nel pensare che a volte il coraggio della materia, resistita al tempo grazie alle proprie forze, non trovi sostegno sufficiente negli uomini: è possibile che non stiamo facendo abbastanza per l’arte?

Resti visibili del castello di Casertavecchia

Con la speranza di ricredersi, il visitatore continua il percorso verso il cuore del borgo e colpisce con straordinaria potenza il panorama vasto e ricco di sfumature. Casertavecchia non delude per i paesaggi e, se si è lungimiranti nel tragitto, nasconde in ogni angolo uno spettacolo, capace di ispirare profonda serenità e l’amore appassionato di chi la sceglie come meta romantica. Con gli occhi pieni di meraviglia e il cuore carico, ci si addentra nelle stradine, si osservano le case con i portoni in legno e i piccoli cortili, decorati spesso con vasi di fiori, e si calpesta la pietra limata dal passaggio di chi, ricchi o poveri, signori o servi che fossero, poco importa, hanno lasciato l’impronta di un passato ricco di vita, che ad oggi è un lontano ricordo.

Scorcio paesaggistico
Stradina del borgo
Stradina del borgo

Passo dopo passo, si raggiunge piazza Vescovado in cui vi si affaccia il palazzo vescovile, decorato con antichi archi e finestre risalenti al secolo XIII.
Casertavecchia conserva il bellissimo Duomo di San Michele Arcangelo, risalente al XII secolo. La facciata è stata realizzata con tufo lavico ed è decorata con elementi antropomorfi, geometrici e floreali, tipici dell’epoca medioevale, che rappresentavano la fede in Cristo. Severa ed elegante all’esterno, la cattedrale è particolarmente suggestiva all’interno, dove si possono ammirare il pulpito, le tre navate e le meravigliose colonne doriche e corinzie, che sono tutte differenti tra loro in quanto elementi di spoglio di edifici romani. Nella sagrestia della cattedrale è presente un crocifisso ligneo del Trecento e sono rimasti integri alcuni affreschi medievali a carattere religioso. Le pareti restanti, invece, sono prive di decorazioni in quanto in epoca barocca esse furono sostituite da diversi stucchi, a loro volta rimossi nel XX secolo. Accanto alla cattedrale è presente un grande campanile terminato nel 1234, al tempo di Federico II e infatti mostra già delle influenze gotiche. Come quella di Gaeta e di Amalfi, culmina in una torre ottagonale ed è decorato da arcate e da torri agli angoli. Il duomo possiede anche cupola, nascosta da un tiburio ottagonale è a sua volta ornata da pietre gialle e bigie, che compongono dei motivi floreali e geometrici stilizzati. Di fronte al Duomo è possibile anche ammirare quello che una volta era il seminario, finché nel 1842 Papa Gregorio XVI ne sancì il definitivo trasferimento a Caserta, e venne trasformato in un convento. Il palazzo possiede un portone centrale in marmo ed è abbellito dallo stemma del Vescovo Diodato Gentile.

Il campanile del Duomo di San Michele Arcangelo
La facciata del Duomo di San Michele Arcangelo
Navata centrale del Duomo

Riflessioni di un Borgonauta

Tra le bellezze artistiche e gli scorci caratteristici, dovrebbe sorgere in modo del tutto naturale la voglia di godere a pieno di tutto ciò che il nostro passato ci ha consegnato come lascito. È anche vero che molto spesso ci lasciamo accattivare dalla foga del moderno, disabituandoci a rallegrarci del silenzio, carico di significato, delle realtà sospese nel tempo, come lo sono i borghi. Ciò fa sì che, anche quando siamo fisicamente presenti in un luogo come questo, che ha resistito alle intemperie, allo spopolamento e all’abbandono, invece di assaporarne la storia, che ci racconta attraverso un vaso di fiori, un saluto di un abitante, una leggenda o una pietra levigata, ricerchiamo spasmodicamente e forse inconsapevolmente lo stesso caos delle nostre città di appartenenza. Sarà probabilmente il frutto dei mutamenti della contemporaneità, ma è bene che non dimentichiamo di osservare con curiosità l’antico per riaccendere la sete di sapere, spesso assopita nelle anime, è bene che si dedichi il giusto tempo alla scoperta profonda dell’arte, è bene che si scalfisca la barriera del visibile per imparare a definire noi stessi anche attraverso il passato, è bene, infine, che ogni borgo sia messo in condizione di svelarsi nella sua essenza più autentica e che non sia svilito della sua importanza.  

Marica Fiorito

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