Asprinio poetico

Raccolta di San Gennaro

Un po’ di storia. Durante il periodo della quarantena, l’anima, nella piena solitudine sanitaria e nella circoscritta visione delle solite mura, ha viaggiato come non mai alla ricerca di interessi inusuali, sfruttando i pochi spiragli dalle finestre. Un mondo si è disvelato sui bordi della città, un passato coriaceo, come gli antichi racconti dei nonni, perché l’Agro aversano era terra di contadini, demiurghi di pedologie paludose e vulcaniche, punti d’incontro d’opposte forze telluriche. L’agricoltore ha da sempre dovuto mediare il fuoco degli effluvi magmatici e l’irruento fiume Clanio distribuiva limosi doni, ma anche devastazioni e acquitrini diffusori di malaria. Dopo le bonifiche del tempo (Regi lagni), queste terre hanno custodito un raro gioiello enologico, un unicum, un vitigno da cui si produce un “piccolo grande vino”, come ci ricorda un vero custode della memoria enologica, Mario Soldati. Al di là delle varie ipotesi sulle origini di questo ancestrale vitigno, una conferma potrebbe derivare proprio dalla tecnica di coltivazione, quella dell’Alberata aversana (per propaggine e a piede franco, possibile grazie alla natura del suolo prevalentemente vulcanico/sabbioso che ha reso quasi impossibile la vita alla filossera, afide che ha devastato il modo viticolo europeo per anni, sconfitta solo grazie alla tecnica del portinnesto su viti americane), sistema di allevamento  che rimanda ad un’origine etrusca. Gli Etruschi erano soliti coltivare con tutori vivi la vite, cosa che del resto accadeva con il promiscuo nel Chianti in Toscana e in Emilia per i Lambruschi (territori della civiltà etrusca) prima dell’impostazione contemporanea della produzione enologica di impronta francese.

La muraglia
La muraglia
Festoni
Festoni

L’Asprinio ha una simbologia romantica; infatti, si marita (vite maritata) con alberi di olmo e pioppo raggiungendo altezze di venti metri. In questo modo la terra si congiunge con il cielo, e i contadini coltivandola percorrono una ascesa mistica dove la fatica e il pericolo sono elementi della briosità del prodotto, perché per coltivare questa rara uva sono necessarie passione e follia. Un’altra notizia in merito è quella che vede una comunanza genetica con il più rinomato Greco di Tufo irpino. Infatti, l’Asprinio fu portato in Irpinia dalla famiglia Tufo aversana, che in epoca angioina divenne feudataria della solforosa Tufo (AV). Inoltre, gli studi genetici sui biotipi dei due areali, condotti dalla Facoltà di Agraria di Portici della Federico II, avvalorano tale ipotesi.  Un altro particolare per quanto riguarda la tecnica di allevamento delle alberate, presenti prevalentemente nella zona territoriale, denominata Agro aversano, è quello rinvenuto in una raffigurazione pittorica nel bellissimo Real sito di Carditello: esso fu fiore all’occhiello per la zootecnia e la sperimentazione agricola durante il regno dei Borboni. Sulle pareti, sono raffigurate scene dove le viti vengono coltivate con l’ausilio degli alberi, ma la particolarità è che l’uva raffigurata è di colore nero… Ogni simbolo rimanda alla ricerca, questa terra si fonda sull’unicità, che non è frutto sempre della razionalità. La terra ha permesso una graduale sostituzione, quasi scomparsa, di tale particolarità, per rispondere in maggior modo alle esigenze del mercato e alla quantità. Ciò è avvenuto a discapito della qualità di questo raro gioiello, che durante il boom economico divenne uvaggio da taglio per famosi spumanti che inondarono le tavole italiane; d’altro canto i contadini, da eroi romantici, divennero conferitori e la magia andò ben presto affievolendosi.

Ascesi
Ascesi
Uva d'Asprinio di Alberata
Uva d'Asprinio di Alberata
Vite maritata in primavera
Vite maritata in primavera

Esperienze. Durante l’allentamento delle misure anti-covid, la curiosità, implementata dalla cattività sanitaria, ha nutrito il desiderio di toccare con mano questa antica storia. L’esigenza è stata quella di conoscere il mondo di chi per secoli ha coltivato questa terra e custodisce le antiche pratiche e leggende. Ad Aversa, ai margini della urbanizzata città, dove il verde respira con le sue sfumature, resistono ancora strade di campagna in terra battuta, dove è possibile conoscere dinastie di agricoltori custodi, e chi se non i borgonauti potevano spingersi in una conoscenza dell’oblio? In queste passeggiate abbiamo avuto l’onore di dialogare con il signor Angelino, che con grande passione ci ha informato di come le alberate non possano essere conosciute senza emozioni, perché la loro esistenza è frutto di scelte irrazionali. Con lui abbiamo appreso molte cose, e soprattutto “colto” quanto gli agricoltori abbiano una simbiosi profonda con la terra, e come i poeti e gli agricoltori possano scegliere tra due metriche, quelle classiche, sorrette dalla razionalità, o il verso libero spinto dall’inspiegabile dolore/passione che da sempre rende insaziabile l’uomo alla ricerca di un’anima insondabile: in questo caso l’agricoltore è poeta. Durante questi dialoghi primaverili/autunnali, quasi platonici, perché l’alberata è un’idea applicata alla realtà, la terra respirava libera dalla pressione idrocarburica e antropica. Abbiamo sentito originariamente il profumo dei fiori, del cardo e di pesco rosa, ammirato il dischiudersi dei fiori di melo d’annurca candidi, il nascondersi dei delicati ciliegi. La campagna era una tavolozza di colori e odori di cui non avevamo mai fruito nella sua integrità.

Il cardo
Il cardo
Campo di cardi
Campo di cardi

Ritornando all’Asprinio il sig. Angelino ci ha dato appuntamento per la vendemmia che quest’anno si è tenuta nel giorno di San Gennaro, perché è solo nella vendemmia e nella potatura che si può comprendere che gli eroici agricoltori non vivono solo nelle rinomante zone vitivinicole, tra terrazzamenti e quote temerarie, ma anche in un lembo di terra che galleggia sulle acque salmastre, alluvionali e marine, e resiste contro l’ignoranza dell’inquinamento. Gli agricoltori dell’Agro aversano con le loro maestose alberate sono gli unici che hanno avuto l’ardire di coltivare il cielo, con filari alti venti metri una rara stirpe d’uomini ragno capaci di tessere tralci e raccogliere i frutti.

Il sentiero dei nidi di ragno
Il sentiero dei nidi di ragno
Fratelli Angelino
Fratelli Angelino
Un fratello Angelino
Un fratello Angelino

Uve che fluttuano tra sole e ombra e che indiscutibilmente conservano elementi chimici e magici come il profumo di agrumi e l’acidità magmatica esaltata nelle grotte di tufo, dove viene conservato il vino, grotte scavate da abili scalpellini. È giusto ricordare come i contadini fossero anche abili vinificatori stregoni delle grotte, che sapevano rendere il vino particolare semplicemente con il gioco delle lune e fossero conoscitori arcaici e profondi delle costellazioni zuccherine che rendono il vino un’anima duplice, ferma o spumantizzata.

Tra un’ascesa e discesa dalle alberate dei vendemmiatori, siamo riusciti a raccogliere esperienze e ricordi, perché l’agricoltore imprime alla terra ciò che custodisce dentro. Il sig. Angelino discende da una grande famiglia di agricoltori, che da anni coltiva con devozione i rispettivi moggi di terra. Egli ci ha raccontato della sua prima vendemmia a 13 anni e fu… una vera e propria impresa… un rito di iniziazione.

Il peso della terra
Il peso della terra

I nostri ingegnosi agricoltori, infatti, posseggono uno scalillo (scala) di castagno costruito a misura altissima e stretta, particolarmente pesante da alzare e trasportare, sulla quale si inerpicano grazie a dei pioli molto resistenti tali da sorreggere le fascine (contenitori di vimini di forma triangolare con la parte terminale appuntita che facilmente si configgeva nel terreno), nelle quali veniva raccolta l’uva prima di farla discendere verso terra con una corda. Il meccanismo è semplice ma ingegnoso. Di fatto, nel momento della discesa del prodotto verso il suolo sono soliti usare delle foglie di vite tra le mani per evitare che la corda possa tagliarle con l’attrito.

Scalillo
Scalillo
Posizionamento scalillo
Posizionamento scalillo
Sulla vetta
Sulla vetta

Queste scale hanno anche un costo elevato, perché la loro costruzione – date le altezze da raggiungere e il peso da sopportare – devono essere strumenti di alta precisione e qualità, di cui solo pochi artigiani ne conservano l’arte. Un altro elemento interessante è la pratica (ancora rispettata dalla famiglia Angelino) che avviene durante il periodo della potatura, quando la pianta, una volta recisa, piange la linfa e gli agricoltori sono soliti bere del vino accovacciandosi ai piedi dei fusti delle piante, che con la loro vorticosa crescita sembrano ballare un tango plastico e passionale. I contadini chiedono perdono, cercando di dimenticare il dolore arrecato alle piante, portatrici invece di un prodotto di felicità come il vino.

La danza plastica
La danza plastica

L’Asprinio, come i borghi dimenticati, è un vitigno che rischia di essere abbandonato, non solo perché è molto costoso da allevare, ma anche perché non sempre compreso dalla platea degli amanti dei vini così spesso conforme a criteri standard di degustazione stereotipati. Non è un vitigno razionale, ma immediato. Con la sua fresca nota acidula rifiuta l’equilibrio e sa esaltare i sapori e placarne la persistenza. È un particolare modo di esprimere il mondo, un verso libero e dissetante. Curiosa è la mitologia etrusca che parla del dio Flufluns (Dioniso e Bacco, per i greci e i romani) figlio della dea Semia (Semele grc.) che essendo andato a caccia si fermò sotto la frescura di un pioppo e vedendolo solo e indifeso dal sole, decise di lasciare un tralcio di vite come ringraziamento. Nel tempo la pianta di pioppo si accorse che quel dono era ciò che di meglio potesse desiderare poiché da una parte i frutti della vite, che si inerpicò sulle altre piante, assorbivano nei periodi caldi i raggi del sole divenendo di colore dorato, dall’altra la solitudine divenne un lontano ricordo.

La scalata
La scalata
A un passo dal cielo
A un passo dal cielo
Groviglio enoico
Groviglio enoico

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