I Giardini della Minerva di Salerno

Se non ci sono stati frutti, è valsa la bellezza dei fiori.

Se non ci sono stati fiori, è valsa l’ombra delle foglie.

Se non ci sono state foglie, è valsa l’intenzione del seme.

(Enrique de Souza Filho) 

Non è stata la prima né certamente l’ultima volta che guardiamo con ammirazione la città di Salerno. Come sempre ci piace ritornare nei posti belli e nei diversi periodi dell’anno per scoprire come il susseguirsi delle stagioni colora i paesaggi e come i raggi del sole definiscono l’umore di strade e palazzi: questa volta ne abbiamo conosciuto la vena malinconica di una giornata d’inverno, ma pur sempre viva. Salerno, infatti, brilla di luce propria e non necessita delle illuminazioni natalizie per meritare una visita da parte dei turisti.

Nell’immaginario di tanti, Salerno è vista come una città di mare dimenticando, invece, del suo primato nelle arti botaniche al servizio della prima Università di Medicina al mondo. Ma ci abbiamo pensato noi a ricordarlo con questo articolo, dedicato al Giardino della Minerva, che fu sito di sperimentazione e didattica delle scienze mediche. 

Orto botanico
Orto botanico

LA CITTÀ MEDIEVALE E I SUOI GIARDINI

Salerno è stata nel passato città di giardini e di orti. La loro distribuzione nel tessuto urbano è sicuramente legata alla mitezza delle stagioni, alle acque sorgive in abbondanza, al terreno fertile e all’aria salutifera; elementi provvidenzialmente donati alla città. Chi vi passeggiava per le strade acciottolate non si sorprendeva dunque del profumo intenso dei fiori d’arancio sparsi nei ricchi giardini o degli scenografici vigneti terrazzati. 

Attualmente i giardini non sono più numerosi come un tempo ma la loro memoria è sicuramente conservata all’interno del Giardino della Minerva, situato nel cuore del centro storico

Arancio
Arancio
Scorcio di città
Scorcio di città

GIARDINO DELLA MINERVA

Quest’area oggi è il risultato di un attento restauro che ha riportato il giardino ad una fase sei-settecentesca ma le sue origini risalgono al Medioevo, si tratta infatti di un viridarium appartenuto alla famiglia Silvatico sin dal XII secolo.

Nel 1300 in questo luogo Matteo Silvatico istituì il primo giardino dei semplici della Storia delle Scienze Mediche. In passato gli orti botanici erano destinati alla didattica, al fine di insegnare agli studenti delle scuole di medicina l’identificazione delle piante officinali; e il Giardino di Matteo Silvatico, hortus sanitatis, fu impiegato proprio per questo scopo. Si tratta di un sito di straordinaria importanza per la storia delle Scienze Botaniche in quanto fu al servizio della Scuola Medica Salernitana, la prima e più importante istituzione medica d’Europa nel Medioevo dove medici provenienti da tutto il Mediterraneo diffondevano il loro sapere. La Scuola è stata attiva per oltre otto secoli lasciando in eredità testi che rappresentano le fondamenta del sapere medico occidentale.

Hortus sanitatis ai tempi di Silvatico (sala espositiva)
Hortus sanitatis ai tempi di Matteo Silvatico (sala espositiva)

CONTRARIA CONTRARIIS CURANTUR

Matteo Silvatico, profondo conoscitore delle piante, fu medico personale del re di Napoli Roberto d’Angiò e alla sua corte ebbe modo di confrontarsi con grandi maestri e scienziati. Presso il viridarium di famiglia il medico salernitano condusse le sue attività perfezionando i suoi studi sul principio del “contraria contrariis curantur”. Secondo tale principio Silvatico impiegava elementi terapeutici semplici con caratteristiche (freddo, caldo, umido, secco) opposte a quelle della patologia da curare. Il buon funzionamento del corpo umano è governato dalla presenza di quattro umori, e un loro squilibrio genera la malattia. L’eccesso di un umore rispetto agli altri, deve essere quindi contrastato usando un farmaco con una natura opposta all’umore in eccesso. Dunque, i principi di Silvatico e, in generale della terapeutica medievale salernitana, si fondano sulla “teoria umorale” nata sulle basi della “teoria dei quattro elementi”, cioè che tutte le cose del mondo sono fatte da fuoco, aria, acqua e terra.

Contraria contrariis curantur (sala espositiva)
Contraria contrariis curantur (sala espositiva)
Matteo Silvatico (sala espositiva)
Matteo Silvatico (sala espositiva)

VISITA AL GIARDINO

Passeggiare per le stradine di Salerno significa fermarsi ad ogni angolo e osservare le stratificazioni del tempo e delle culture del Mediterraneo, il mare più bello del mondo.

Per giungere al giardino si percorre il centro storico, leggermente in salita rispetto all’area a ridosso del porto. Costa un po’ di fatica alle gambe ma si viene subito ripagati una volta arrivati al complesso, nascosto dietro una porticina.

Archeologia urbana
Archeologia urbana
Pergola con agrumi
Pergola con agrumi

Appena entrati c’è il Platano di Ippocrate a dare il benvenuto ma anche uno splendido affresco. Questo affresco, riaffiorato da pochi anni e restaurato, risale al Settecento e raffigura una architettura di genere naturalistico, rappresenta infatti un giardino con una fontana sostenuta da figure femminili simili a sirene.

Affresco
Affresco

C’è poi il Palazzo Capasso, ex dimora medievale della famiglia Silvatico, oggi sede dell’Orto botanico dove sono state adibite una sala video e una sala espositiva. Il palazzo ha un terrazzo con una bellissima fontana dove non solo si gode di un bel panorama ma anche di gustosi succhi e tisane, prodotti a km zero nelle aiuole dell’orto.

Terrazzo
Terrazzo

Il giardino è caratterizzato da una serie di terrazzamenti: ogni piano presenta agrumeti e innumerevoli varietà di piante con le loro essenze aromatiche o profumi esotici. D’inverno non se ne possono ammirare i fiori o i frutti ma sono pur sempre belle e cariche di antica saggezza. C’è poi il sistema delle acque, di derivazione araba, che raccoglie e distribuisce le acque; un sistema funzionale ma anche decorativo.

Di grande incanto poi è la scala pergolata che collega i quattro terrazzamenti; essa si sviluppa su un lato del giardino e poggia sulle antiche mura medievali della città. Ce la immaginiamo in primavera con i fiori, chissà che spettacolo!

Pergolato
Pergolato
Pergolato con vista porto
Pergolato con vista porto

IN GIRO PER LA CITTÀ

Anche questa volta Salerno ci ha emozionato con i suoi mille volti e la sua unicità. Ecco altri scatti della giornata.

Castello di Arechi
Castello di Arechi
Mare e foschia
Mare e foschia
Cortili storici
Cortili storici
Chiesa di San Pietro a Corte
Chiesa di San Pietro a Corte
Gradoni Madonna della Lama
Gradoni Madonna della Lama

Eremo di San Vitaliano: l’eleganza di una chiesa di campagna

L’aria mistica dei Colli Tifatini, gli alberi e la vegetazione rigogliosa, il tufo antichissimo e la semplicità delle forme rendono l’Eremo di San Vitaliano un posto unico, un luogo dove il tempo si è fermato all’atmosfera intima del Medioevo. La natura, con i suoi poteri magici, ti scaglia nel meraviglioso mondo delle emozioni, attiva tutti i sensi…quei sensi che nella frenesia giornaliera ti dimentichi di possedere.  E allora scopri quanto è bello lasciarsi accarezzare dal vento, meravigliarsi dei colori di una farfalla che passa a salutarti. 

Porta d'accesso
Gli alberi e l'eremo

L’eremo è immerso nel verde di Casola, uno dei casali di Casertavecchia e seppur rimaneggiato più volte nel tempo, conserva la semplicità delle sue origini. Ci si arriva attraverso una stradina di campagna stretta dove i castagni creano delle volte scenografiche e se non ci fossero le indicazioni probabilmente si andrebbe dritti verso il più noto borgo di Casertavecchia e si perderebbe questo gioiello nascosto.

Bosco misto
Arco d'ingresso

Secondo la tradizione è stato costruito da San Vitaliano durante la sua vita in solitudine in una località che la memoria ricorda come Miliarum, forse da un’antica pietra miliare. Il santo, stanco delle persecuzioni e calunnie a cui era soggetto, fuggì dalla città di Capua per ritirarsi a vita eremitica. Si narra che un lupo, da lui ammansito, l’aiutò a costruire l’eremo dove visse diversi anni compiendo miracoli. Tuttora gli abitanti del posto conservano l’arcaico culto di questo santo, protettore della pioggia contro la siccità: nel mese di maggio infatti, i quattro casali si recano in processione fino all’eremo.

Archi e cipressi
Prospettive

SAN VITALIANO, TRA REALTÀ E LEGGENDA

San Vitaliano nacque nel VIII secolo nell’antica Capua (l’odierna Santa Maria Capua Vetere) dove fu consacrato vescovo. Fu un uomo di grande umiltà e devozione ma ciononostante fu perseguitato da uomini infidi che cospirarono contro di lui, accusandolo di immoralità. Vitaliano decise allora di dirigersi verso Roma, dal Papa ma i suoi nemici lo inseguirono e nei pressi dell’antica Sinuessa lo catturarono, lo chiusero in un sacco e lo gettarono tra le onde del mare. Ma grazie alla protezione divina il santo raggiunse Ostia sano e salvo, qui venne liberato dal sacco e si fermò per alcuni mesi. Nel frattempo la città di Capua fu colpita da carestie e siccità ed i capuani compresero di essere stati puniti del Signore per quanto avevano fatto al santo: decisero quindi di cercarlo per implorare il suo perdono. San Vitaliano, impietositosi, perdonò il suo popolo e al suo ritorno a Capua la pioggia cadde in abbondanza.

Statua San Vitaliano

EREMO

La struttura, risalente all’VII secolo, ha subito nel corso del tempo diversi rifacimenti sia esterni che interni e quello che oggi vediamo è il frutto del restauro, iniziato nel 2001, ad opera di Don Valentino Picazio, parroco di San Marco Evangelista di Casola. 

Caratteristiche principali di tutto il complesso sono l’ordine, la pulizia e le linee essenziali della pietra viva e certamente il richiamo con la natura tutt’intorno. 

All’eremo si accede attraverso un semplice arco che ti porta dentro un piccolo giardino con alti cipressi e profumate piante di rosmarino. Qui si trova un caratteristico pozzo antico, con tutti gli ingranaggi e il secchio per raccogliere l’acqua dalle falde…magari ci sono ancora le tracce della pioggia che San Vitaliano impetrava durante i periodi di siccità!

Colonna e rosmarino profumato
Pozzo

La chiesa è semplice ma con un grande fascino: è la classica chiesa di campagna, luogo di incontro per le comunità rurali. È preceduta da un portico con tre archi in tufo mentre all’interno i muri sono ricoperti in calce viva e probabilmente nascondono degli affreschi. La struttura infatti ha avuto nel corso dei secoli numerosi rimaneggiamenti, tuttavia gli interventi di rivalutazione artistica e storica hanno conservato l’antico splendore. 

Facciata della chiesa

C’è un’unica navata centrale e a sinistra una piccola cappella con un affresco di Madonna con Bambino e la statua di San Vitaliano mentre al piano superiore ci sono le celle dei monaci ospitati in passato. Usciti fuori, da qui attraverso un piccolo arco si accede al campanile, sobrio ed elegante che va a ad esaltare la semplicità e la bellezza disarmante dell’intera struttura.

Campanile
Affresco Madonna con Bambino

RIFLESSIONI

“Il vero viaggio non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” (Marcel Proust)

La visita all’eremo rientra tra le passeggiate domenicali che i Borgonauti tanto amano fare, condividendo lo spirito dei “viaggi a km zero”. Chi osserva le foto potrebbe pensare ad una bellissima chiesa delle campagne senesi. Siamo invece in provincia di Caserta e i colli non sono quelli toscani ma i monti Tifatini, regno della dea Diana, regina di tutti i boschi e custode della natura.

È un luogo, questo, che risulta sconosciuto agli stessi casertani. Come tante altre località viene snobbato…si preferisce andare nei soliti luoghi comuni e si rischia non solo di perdersi la loro bellezza ma soprattutto che questi vengano persi.

Interno chiesa
Campanile

Casali di Faicchio: la Betlemme del Sannio

“Gli uomini si dividono in uomini d’amore e uomini di libertà, a seconda se preferiscono vivere abbracciati l’uno con l’altro oppure preferiscono vivere da soli per non essere scocciati. […] Come si fa a riconoscere se un uomo è o non è un uomo di libertà? È semplicissimo: l’uomo di libertà preferisce l’albero di Natale; l’uomo d’amore invece preferisce il Presepe.” (Tratto da Così parlò Bellavista di Luciano De Crescenzo). 

L’albero di Natale ha sicuramente il suo fascino: ci sono quelli più eleganti e quelli più pacchiani, quelli piccini e quelli giganti…ma al di là di questi particolari, ciò che rende unico questo simbolo natalizio sono le luci che fanno illuminare di gioia i bambini, sia quelli piccoli sia quelli divenuti ormai adulti come me. Amo ad esempio passeggiare per le strade del paese e curiosare se dalle finestre si intravedano gli alberi con le lucine tutte colorate.

Ma il presepe è un’altra cosa…le luci diventano più soffuse e l’atmosfera più intima nonostante la vivacità dei pastori che per magia sembrano prendere vita. Mi è sempre piaciuto osservarli e pensare che improvvisamente potessi chiacchierare con la lavandaia o la signora che cammina con le uova nel paniere oppure entrare nella piccola locanda e mangiare in compagnia. Tuttavia, il mio personaggio preferito è il pastore che dorme, con il calore delle morbide pecore, nella vallata di una montagna e non vuole essere disturbato… forse sono anche io una donna di libertà!

Perdonatemi questi sentimentalismi ma il presepe è arte e in quanto tale mi suscita molte emozioni, soprattutto la nostalgia dell’infanzia. Ricordo che per le strade riecheggiavano i suoni antichi degli zampognari che arrivavano dagli Appennini del dimenticato Molise ed era bello accogliere o essere accolti dal vicinato per ascoltare insieme la novena e contemplare il presepe. Oggi solo jazz natalizio in filodiffusione per le avenue delle piccole e grandi città.

Per chi ama il presepe e vuole essere catapultato in questo mondo mitico, non c’è bisogno di chiedere ad una macchina del tempo di percorrere 2000 anni e tanti chilometri per raggiungere la Terra Santa, basta andare a Casali di Faicchio, la Betlemme del Sannio.

Antica stalla
Bottega del fornaio

PRESEPE VIVENTE

Tra le “vittime” del coronavirus del 2020 c’è anche il Presepe vivente di Casali, frazione del comune di Faicchio, che quest’anno avrebbe festeggiato il suo 25°anniversario. Il borgo storico nel mese  di dicembre fa da scenario all’evento della natività e attira numerosi visitatori che giungono in questo luogo  per vivere la magia di un lontano passato ed accogliere il messaggio di speranza che ogni anno si rinnova in occasione del Natale.

Entrati nel borgo si compie un vero viaggio indietro nel tempo che permette di rivivere  la suggestiva atmosfera di Betlemme:  gli antichi mestieri rianimano i vicoli del borgo e persino il danaro è quello di un tempo. All’ingresso infatti, si può ritirare ai Cambiavalute il “denario”, la moneta antica coniata apposta per la manifestazione.

I denari
Erborista

Lungo il percorso ci sono i pastori, con suggestivi abiti d’epoca, che ti ricevono con le movenze tipiche del loro antico mestiere:  contadini che battono il grano a mano con un  preciso rituale collettivo, massaie intente nei lavori domestici,  lavandaie ridenti e generose, il ciabattino con l’incalzante ticchettio dei suoi arnesi, il fabbro riscaldato dal fuoco delle sue fornaci, il falegname nella bottega pittoresca, il fornaio e il suo pane caldo, il fruttivendolo con la sua bancarella vivace e tanti altri artigiani…

Lavandaie
Rito battitura del grano
Artigiano del legno

C’è poi l’erborista con le sue essenze profumate e le deliziose locande dove si possono degustare i prodotti tipici locali. Ci sono aree ristoro dove comodamente si può consumare un pasto caldo oppure si può stuzzicare durante la passeggiata con frittelle cotte e mangiate, mandarini odorosi, castagne, del buon formaggio e dell’ottimo vino. Si possono inoltre visitare le cantine del posto e l’antico frantoio del paese costruito con travi in legno e macigni di pietra…una vera opera d’arte!

Caldarroste
Peccati di gola

Ma parliamo adesso dei personaggi emblematici del presepe: 

Erode nel suo palazzo in compagnia di donne bellissime con veli danzanti e dall’irresistibile fascino orientale. I Re Magi dagli abiti preziosi, con mantelli colorati e ricchi doni siedono in un’area dove viene ricreata una scenografia dall’atmosfera un po’ esotica con cammelli e palme giganti. Ed è qui che pazientemente si lasciano fotografare perché ognuno  abbia la propria foto ricordo del Presepe Vivente di Casali di Faicchio. 

I Re Magi
Palazzo di Erode

Arriviamo infine davanti alla Grotta della Natività, una scena semplice ma con un forte carico emozionale. A fare da cornice alle figure di Maria, San Giuseppe e il piccolo Gesù, un bambino tenerissimo, ci sono il bue e l’asinello. Il respiro dei due animali riscalda la grotta e con la loro indole mansueta regalano tanta serenità. In sottofondo le note degli zampognari, la luce intensa della  Stella Cometa e il cielo delle fredde notti d’inverno creano un clima fiabesco ed è tutto meraviglioso!

Grotta della Natività
Zampognaro

L’augurio per questo Natale è che sia di vera rinascita: che si possa presto rivivere l’emozione di abbracciare gli amici e magari di incontrarci il prossimo anno tra le stradine di questo splendido borgo. 

Santa Maria Occorrevole e la magia della natura

Sul Monte Muto, ai cui piedi è posta la città di Piedimonte Matese, esiste un luogo di grande suggestione spirituale dove la natura e la pace incantano l’uomo. È un posto dove praticare il silenzio, evocato già dal nome della montagna…le parole diventano mute e il cuore canta! Il complesso conventuale di Santa Maria Occorrevole e l’Eremo della Solitudine regalano attimi magici: la natura e il patrimonio artistico e religioso esercitano sul visitatore un fascino particolare così che la mente si svuota e i sensi si appagano.

Porta del Paradiso
Vista su Castello del Matese

Il percorso virtuale partirà dal monumentale Campanile di San Pasquale che in un largo piazzale domina su tutta la pianura Alifana, per diventare man mano più intimo: dalla riservatezza del Convento fino ai segreti della natura selvaggia dell’Eremo.

Non mi dilungherò sulla storia e le minuzie architettoniche perché sono luoghi dello spirito, condividerò, invece, ciò che abbiamo visto e ci ha emozionato…le foto non possono catturare la freschezza dell’aria e gli odori del bosco, tuttavia guidano lo sguardo alla bellezza.

Attimi di pace

CAMPANILE DI SAN PASQUALE

Il campanile, visibile da tutti i punti della valle, sembra innalzarsi quasi a protettore ed osservatore dell’area sottostante e il tocco delle sue campane segnava per i contadini lo scorrere delle ore nel duro lavoro delle campagne. Si trova spostato in avanti al convento, isolato e completamente separato dall’intero complesso di Santa Maria Occorrevole. Si tratta di una posizione un po’ insolita per una torre campanaria ma il motivo di questa notevole distanza è stato quello di evitare che i fulmini potessero danneggiare il convento. La prima costruzione del campanile, risalente al XVII secolo, fu infatti distrutta da un violento temporale.

Stare ai piedi dell’imponente campanile e di fronte all’immenso panorama ti fa sentire piccoli piccoli ma con lo sguardo si possono raggiungere orizzonti lontani e allora, ammirare così tanta bellezza ti fa sentire fortunato.

Campanile di San Pasquale
L'imponente campanile con vista sulla valle

CHIESA E CONVENTO DI SANTA MARIA OCCORREVOLE

LEGGENDA

Sulle origini della chiesa e del convento esiste una leggenda, secondo la quale, durante la Quaresima del 1436, un pastore, alla ricerca di una pecorella smarrita, trovò l’immagine della Madonna dipinta su un vecchio muro coperto di spine. La leggenda narra che “il pio pastore non volle essere da meno del piccolo animale di servire e pregare la Beata Vergine, così, ogni giorno, su quelle alture un’esile voce umana, confusa al belato di un gregge, si levava devota a cantare alla Beata Vergine…” (Padre Crisostomo Bovenzi). Il ritrovamento miracoloso si diffuse rapidamente tra il popolo, così, molti fedeli cominciarono a salire sul Monte Muto per venerare la Madonna. Si decise quindi, di costruire su quella montagna una chiesa sia per proteggere l’immagine sacra sia per raccogliere i fedeli che diventavano sempre più numerosi.

Santa Maria Occorrecole
Piazzale del Convento
Facciata Convento

CENNI ARTISTICI

Tutto il complesso è contraddistinto dalla semplicità e caratteristica singolare è il biancore delle costruzioni che spicca nella rigogliosa vegetazione. Nel piazzale antistante si trova una piccola fontana con al centro la statua in bronzo di San Pasquale Baylon, anche questa semplice e in armonia con tutto l’ambiente.

Chiostro del convento
Vista sui Monti del Matese

La chiesa all’interno conserva la stessa purezza e candore che si assapora fuori dalle sue mura, tuttavia sono conservati sull’abside degli affreschi del ‘400 eseguiti da un ignoto pittore campano che creano tanto stupore negli occhi di chi l’ammira. Al centro dell’opera è rappresentato il Cristo Pantocrator, sostenuto dagli Angeli, mentre nella parte inferiore sono collocate otto figure, di una grazia straordinaria. Si tratta di S. Filippo, S. Elena, la Madonna del Latte, S. Caterina d’Alessandria con la ruota del martirio, S. Maria Maddalena con il vaso d’unguento, la Madonna del Giglio, S. Giacomo Minore con il bastone e la Madonna del Granato. Al centro dei santi risalta la Vergine Orante, ossia Santa Maria Occorrevole con le braccia levate al cielo.

Vergine Orante con Santi
Abside affrescato con il Cristo Pantocrator
Abside affrescato con il Cristo Pantocrator
Interno chiesa
Santa Caterina d'Alessandria

PERCORCO VERSO L’EREMO DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Dal piazzale della chiesa si può percorrere un vialetto che conduce in uno luogo dello spirito tanto suggestivo, una vera oasi di pace. Si accede attraverso un cancello sormontato da un’epigrafe di lode alla solitudine. Si narra che nel passato fosse severamente vietato varcare il Muro della Solitudine senza il permesso del Padre Superiore e coloro che contravvenivano a tale disposizione venivano puniti. Oggi per fortuna si può entrare in questa area mistica e soprattutto non ci sono pene per chi, come i Borgonauti, non rispetta le regole del silenzio quando si è in bella compagnia.

Erbe aromatiche
Entri chi tace perché il solo silenzio è qui loquace
Cancello e muro della Solitudine

Per raggiungere l’eremo bisogna percorrere un sentiero nel bosco fiancheggiato dalle edicole maiolicate della via Crucis. Inoltre, camminando tra querce, faggi e lecci secolari e tra le erbe selvatiche, ci si imbatte in un’esplosione di profumi e il respiro si fa leggero. Di tanto in tanto poi, si sente qualche foglia scricchiolare, segno che il bosco è il regno degli animali e l’uomo deve rispettare le sue leggi soprannaturali.

Viale incantato
Borgonauti che violano le regole del silenzio
Edicola della via Crucis
Bosco con edicole maiolicate
Immagine copertina

Viaggio nel tempo nella città di Venafro

Non sembra un sabato qualunque un sabato molisano!

Primo agosto: caldo torrido, prime partenze verso località marine, incertezza sul traffico stradale… ma niente ferma l’impavida ricerca dei borghi perduti dei Borgonauti, che questa volta hanno deciso di approdare in terra molisana.

In realtà in questa terra di mezzo, imparentate entrambe con i Sanniti, Molise e Campania condividono tradizioni di lingua e cultura e da sempre si scambiano doni. Ricordiamo ad esempio quello del 1863 quando Venafro dalla passata provincia Terra di Lavoro viene annessa all’attuale Molise e ne diventa la sua porta.

Ma Venafro a sua volta, generosa da tempi ben più antichi, dona il fiume San Bartolomeo, con le sue acque sorgive nel pieno centro della città, al possente Volturno. Due terre quindi, dove le acque si confondono e non esistono confini! Queste acque le si incrocia appena si entra nel centro cittadino, accolti dalla Palazzina Liberty -nonché dalle simpatiche oche- oggi centro di mostre e conferenze, nel secolo scorso centrale idroelettrica e molto prima ancora sede del “Mulino della Corte”.

L’incantevole scenario della Palazzina che si affaccia sul laghetto preannuncia che Venafro abbia tanto da vedere e che ogni angolo riserva delle meraviglie!

Palazzina Liberty
Palazzina Liberty
Le simpatiche oche
Le simpatiche oche

GENESI DI VENAFRO

Non è facile stabilire quando e dove sia sorto il primo insediamento venafrano; probabilmente il territorio fu abitato fin dalla Preistoria perché sono stati rinvenuti alcuni arnesi in bronzo e resti umani nella Piana di Venafro. Tuttavia nella tortuosa e lunga linea del tempo, la nascita di Venafro è ancora incerta, i primi tasselli della sua storia sono ancora gelosamente custoditi sotto il suolo, magari all’ombra di un ulivo o forse trasportati dal Volturno…

Per orientarci, allora in questo tempo infinito, ci siamo fatti guidare dai due musei della città: il Museo Archeologico e il Museo Nazionale di Castello Pandone

Museo Nazionale di Castello Pandone
Museo Nazionale di Castello Pandone
Museo archeologico con vista panoramica
Museo archeologico con vista panoramica

MUSEO ARCHEOLOGICO

La sede del museo ci dice molto sulla sua vecchia destinazione; si tratta infatti dell’ex convento di Santa Chiara costruito nel XVII secolo e che ospitava le suore dell’ordine delle clarisse. Il percorso museale racconta circa mille anni della storia della città: dalle necropoli della società sannita, passando per la Venafrum romana fino a raggiungere la spiritualità del Medioevo.

Di esemplare bellezza è la statua di Venere (momentaneamente in prestito presso il museo di Forlì), che sembra aver compiuto il suo bagno rituale. La statua dalle morbide curve è probabilmente una decorazione di fontana appartenente ad una domus di prestigio, perfettamente conservata e davvero bellissima.

Si trovano inoltre reperti provenienti dall’abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno, salvati dall’attacco dei Saraceni nell’881. Grazie a questi reperti è stato possibile non solo riconoscere l’importanza religiosa, economica e culturale di questa cittadella monastica ma anche ricostruire molti aspetti della vita quotidiana dei monaci durante il Medioevo. La visita infine non può terminare senza aver ammirato i celebri scacchi di Venafro, i più antichi d’Europa…una vera chicca!

Un saluto da Forlì- cartolina della Statua di Venere
Un saluto da Forlì- cartolina della Statua di Venere
Affreschi dell'Abbazia di San Vincenzo al Volturno
Affreschi dell'Abbazia di San Vincenzo al Volturno
Scacchi di Venafro
Scacchi di Venafro

Le esposizioni all’interno delle sale del museo archeologico ci hanno guidato fino al Medioevo ma siamo ancora a metà strada! Colpa di questo ritardo le continue pause dei Borgonauti per scattare la foto ricordo perfetta; per rimanere incantati dalla vista delle montagne che circondano l’intero complesso; per lasciarsi estasiare dal suono delle campane che in perfetta sincronia riecheggiano da tutti i campanili della città; per fotografare la chiesa di San Francesco, ben visibile dalle finestre dell’ex convento nel vano tentativo di rimuovere le macchine in sosta dall’obiettivo fotografico.

Prima di lasciare il museo, ci siamo concessi ancora un po’ di tempo per chiacchierare con la signora Lina, addetta alla vendita dei biglietti, tramite la quale scopriamo che in Molise per la carenza di personale molte bellezze del territorio restano chiuse. I turisti quindi, o si affidano alle aperture straordinarie dei siti oppure… non si ha scelta e si va via con grande rammarico. Ma esiste una terza alternativa, l’opzione Borgonauti: mettersi in contatto con i volontari del posto che noi chiamiamo “angeli”. Convinciamo quindi la signora Lina a fornirci il numero di un “angelo” di Venafro, il signor Nicandro, carabiniere in pensione, e concordiamo un appuntamento per visitare la Chiesa dell’Annunziata.

Chiesa di San Francesco
Chiesa di San Francesco
Ex Convento di Santa Chiara, oggi Museo archeologico di Venafro
Ex Convento di Santa Chiara, oggi Museo archeologico di Venafro

MUSEO NAZIONALE DI CASTELLO PANDONE

Quindi dove eravamo rimasti? Continuiamo il nostro viaggio nel tempo nelle stanze del castello le cui prime pietre sono opera prima dei Sanniti e poi dei Longobardi. Tali primordiali fortificazioni vengono poi plasmate dai Normanni, Angioini e Aragonesi; insomma nelle mani delle dinastie che hanno stabilito le sorti del Sud Italia per molti secoli. Ma il periodo che sicuramente ha lasciato al castello un aspetto unico e inconfondibile risale al 1443 quando passa alla custodia della famiglia Pandone.

In particolare Enrico Pandone, conte di Venafro, convertì la fortezza in una residenza signorile e negli anni fece affrescare gli ambienti del piano nobile con un ciclo di raffigurazioni (a grandezza naturale) interamente dedicate ai suoi cavalli che egli stesso allevava con tanta dedizione nelle scuderie del castello; una testimonianza della passione che il conte venafrano nutriva per questi nobili animali. Se oggi Enrico fosse ancora vivo, probabilmente avrebbe commissionato delle stampe digitali per i suoi cavalli ma per fortuna è vissuto mezzo millennio fa e ci ha lasciato degli affreschi il cui valore artistico è grande!

Al secondo piano, l’itinerario continua con l’esposizione di affreschi, sculture, tele e disegni che documentano l’arte dal Medioevo al Barocco nonché testimonianze pittoriche e fotografiche fino a giungere al XX secolo. Tra queste opere, di rara bellezza è il polittico di alabastro proveniente dalla Chiesa dell’Annunziata di Venafro.

Un cavallo Pandone
Un cavallo Pandone
Cavalli di Enrico Pandone
Cavalli di Enrico Pandone
Polittico di alabastro
Polittico di alabastro

Ovviamente anche qui non è mancata la chiacchierata con la guida del museo, una gentile signora di Caserta adottata con amore dalla città di Venafro e gli immancabili scatti dal terrazzo del castello dove si può ammirare un panorama unico.

Vista panorama dal Castello Pandone
Vista panorama dal Castello Pandone
Castello Pandone
Castello Pandone
Panorama dal Castello Pandone
Panorama dal Castello Pandone

CHIESA DELL’ANNUNZIATA

Venafro è anche conosciuta come la Città delle 33 chiese per il gran numero di edifici religiosi tra cui si distingue la Chiesa dell’Annunziata, uno degli esemplari più belli di architettura barocca del Molise. Abbiamo avuto la fortuna di vederla all’interno grazie alla devozione del signor Nicandro per la sua città di cui porta il nome di uno dei suoi Santi patroni ovvero San Nicandro e Santa Daria sua sposa e San Marciano.

Edicola votiva della Torre del Mercato con i Santi patroni di Venafro
Edicola votiva della Torre del Mercato con i Santi patroni di Venafro

La fama di questa chiesa è pianamente comprovata; l’interno è contraddistinto da un’unica immensa navata e appena si entra si rimane incantati di fronte ad un bianco così brillante spezzato dalla vivacità degli affreschi eseguiti da abili pittori, dei quali alcuni furono allievi del Vanvitelli.

Gli affreschi che più degli altri attirano l’attenzione appartengono al ciclo dedicato alla Madonna. Di tale ciclo il signor Nicandro ci fa notare un unicum nelle rappresentazioni pittoriche all’interno delle chiese: due natività poste una di fronte l’altra sull’abside del complesso ed in particolare, si tratta della maternità di Sant’Anna e quella della Vergine Maria.

Ci sarebbe ancora tanto da dire su questa chiesa meravigliosa, ma il rischio di diffondere imprecisioni è alto, quindi meglio limitarsi ai ricordi più nitidi.

Chiesa dell'Annunziata
Chiesa dell'Annunziata
Interno Chiesa dell'Annunziata
Interno Chiesa dell'Annunziata
Signor Nicandro e Borgonauti
Signor Nicandro e Borgonauti
Maternità di Sant'Anna
Maternità di Sant'Anna
Maternità della Vergine Maria
Maternità della Vergine Maria

ULTIMI SGUARDI ALLA CITTA’ DI VENAFRO

Probabilmente l’attenzione dei lettori sta per esaurirsi, così come il tempo avuto a disposizione per visitare le altre (ma non ultime) bellezze di Venafro…quindi niente paura perché il resoconto della passeggiata sta per terminare.

L’ora del tramonto si avvicinava e nuvole nerissime provenienti dalle montagne presagivano un terribile temporale estivo, tuttavia decidemmo di fare una visita fugace al Verlasce e lunga la via di casa raggiungere con la macchina il Parco Regionale dell’olivo

Il Verlasce, unico in Italia insieme al Parlascio di Lucca, (ahimè meno noto della piazza toscana, sede di eventi e manifestazioni) era in origine un anfiteatro romano e ciò è bene visibile dalla conservazione della pianta ellittica. Successivamente l’impianto romano subì delle sovrapposizioni medievali, infatti il complesso fu adattato al contesto rurale e con la realizzazione di piani sovrapposti trasformato in abitazioni. Si tratta di un monumento davvero particolarissimo dal punto di vista artistico e architettonico ma che allo stesso tempo testimonia un passato di cui oggi restano solo le sterili pietre. Queste antiche case medievali infatti sembrano abbracciarsi e richiamano un senso di comunità oggi diventato raro.

Verlasce
Verlasce
Parco Regionale dell'olivo con muretti a secco
Parco Regionale dell'olivo con muretti a secco

Il temporale era ormai imminente, le nuvole sul punto di scoppiare ma non rinunciamo all’ultima tappa. Percorriamo la strada alle spalle della Concattedrale e raggiungiamo il Parco dell’olivo; velocemente scattiamo qualche foto nel tentativo di immortalare la serenità degli olivi secolari, la pace di un luogo tanto mistico. Come ladri in fuga rubiamo le ultime essenze di Venafro e poi scappiamo con la consapevolezza di ritornare e con le prove per smentire che il Molise non esista!

Concattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e Porta Santa
Concattedrale di Santa Maria Assunta in Cielo e Porta Santa
La quiete prima della tempesta
La quiete prima della tempesta
Ulivi secolari
Ulivi secolari
Nuvoloni in arrivo
Nuvoloni in arrivo
Abbazia di Sant'Angelo (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)

Taurano, capitale estiva di danze e cultura

Trascorrere le vacanze estive a casa, lontani dalle gettonate capitali europee o dalle nevrotiche spiagge di Ferragosto non è poi un dramma! A volte non è necessario allontanarsi tanto, ci sono luoghi vicini, spesso insospettabili che possono sorprenderci per angoli dal fascino ancora sconosciuto. Il territorio campano, ma in generale l’entroterra della nostra bella Italia, offre ad agosto un calendario ricco di serate magiche. Si può optare per escursioni notturne i cui passi sono illuminati dalla luna, concerti, sagre con ottimi percorsi enogastronomici, festival di danze popolari… Insomma, si ha solo l’imbarazzo della scelta, che in questo caso ci ha portato a Taurano. Le ragioni che ci hanno condotto a questa scelta sono state essenzialmente due: la prima è perché si tratta di un borgo dell’Irpinia quindi, garanzia di bellezza; la seconda è perché Taurano ogni anno ospita il Festival Internazionale del Folklore. Aggiungo un ulteriore motivo, scoperto solo dopo la visita di questo borgo: si tratta di alcuni murales che rianimano i vicoli con i loro colori e tematiche.

TAURANO

Taurano, antico come l’età del bronzo, è un piccolo paese della Bassa Irpinia disteso lungo il monte Pietra Maula, sempre lì, in quiete, a contemplare un panorama ricco di vegetazione dove con lo sguardo si può arrivare fino ad abbracciare il suolo napoletano. È circondato da un territorio generoso dove tutti i sensi vengono appagati con la natura che cambia colore ad ogni stagione ed è sempre uno spettacolo per gli occhi, il fruscio del vento tra gli alberi, l’odore intenso delle erbe selvatiche, la frescura dell’estate, il gusto raffinato dei suoi frutti. Questa terra è caratterizzata dalla presenza di querceti, uliveti e noccioleti; è segnata da una cultura agricola antichissima e, grazie alle mani sapienti dei suoi abitanti, Taurano è una delle capitali italiane della nocciola. Si tratta della nocciola Mortarella, di ottime qualità, la cui coltivazione ne ha fatto un prodotto di eccellenza nella tradizione culinaria dell’Irpinia.

Per quanto riguarda il centro abitato, il borgo non è molto grande, è raccolto ma non privo di fascino. Anzi, è proprio quell’atmosfera intima che lo rende incantevole. Oltre ai suggestivi vicoletti, Taurano è patrimonio di chiese meravigliose dall’architettura semplice e raffinata dove è possibile ammirare all’interno opere d’arte come le tele di Angelo Mozzillo (1736 –1806) nella Chiesa del Rosario (fine XVI secolo) oppure l’altare ligneo della Chiesa di San Giovanni del Palco (XIII secolo) e; all’esterno scorci mozzafiato come quelli unici dall’Abbazia di Sant’Angelo risalente al 1087 (vedi immagine di copertina, fornita da Tommaso Buonfiglio).

Altare ligneo della Chiesa di San Giovanni del Palco (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Altare ligneo della Chiesa di San Giovanni del Palco (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Convento di San Giovanni del Palco (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Convento di San Giovanni del Palco (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)

FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FOLKLORE

Taurano, nonostante sia un piccolo borgo, protetto e isolato per la sua posizione di difesa sui rilievi della Campania, ha una meravigliosa tradizione di accoglienzaTaurano, infatti, ospita dal 1996 il Festival internazionale del Folklore organizzato dalla Pro Loco del paese con la collaborazione del Gruppo Folk Laccio di Amore. Il Festival si tiene durante la prima settimana di agosto, giorni in cui Taurano si accende con i colori dei numerosi gruppi internazionali, la tradizione locale si mescola alle culture di paesi lontani, ed è tutta una festa di sorrisi e allegria, senza frontiere! Le danze, i costumi variopinti e le musiche dei gruppi partecipanti ti avvolgono e ti travolgono. La danza è l’essenza di un popolo, possiede quel ritmo antico che accomuna tutte le culture per propiziare un raccolto generoso, per onorare una cerimonia religiosa, per allontanare spiriti cattivi…

L’edizione del 2019 ha accolto con entusiasmo i gruppi musicali e di danza popolare di Argentina, Cile, Costa d’Avorio, Perù, Polinesia, Kamtchatka e l’immancabile compagnia di Taurano, sempre in giro per il mondo per far conoscere le proprie tradizioni. I vari gruppi dopo la sfilata inaugurale, sulle scale della villa comunale dove le luci hanno creato una magnifica scenografia, si sono esibiti a turno mostrando la bellezza dei loro movimenti. La musica ci ha rapiti e non importava se si trattasse di quella tribale della Polinesia o quella cortese della tarantella nostrana.

Gruppi del Folklore
Gruppi del Folklore
Foto ricordo con le gentili donne della Polinesia
Foto ricordo con le gentili donne della Polinesia

TAURANO E L’ARTE DEI MURALES

Taurano si sta trasformando in un museo a cielo aperto grazie ai murales lungo i caratteristici portici del paese. Si tratta del progetto “Portici d’Autore”, iniziativa artistica nata nel 2012 che ha l’intento, oltre a quello di riqualificare e valorizzare il borgo spento dal tempo, di testimoniare le epoche trascorse di questo antico borgo: un modo per conservare la memoria storica di Taurano. Il murales che più mi ha colpito è il “Sogno Americano” di Franco Mora. L’artista ha affrontato il tema dell’emigrazione che ha coinvolto i cittadini tauranesi (e non solo) nei primi anni del Novecento. Al centro del murales c’è un veliero fantastico che traghetta gli abitanti del paese verso una nuova vita: di fronte ad un futuro dove l’unica certezza era una vita dura, segnata dalla fatica nei campi che non sempre riusciva a sfamare la comunità, la gente lasciava con amarezza la propria terra per l’America con la speranza di un futuro migliore.

Portici d'Autore
Portici e murales (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
La contadina (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
La contadina (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Dettagli dei portici (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Dettagli dei portici (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Portici d'Autore (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)
Portici d'Autore (foto fornita da Tommaso Buonfiglio)

Andare alla scoperta di borghi e sentieri, e di tutte quelle bellezze del nostro territorio cadute nell’oblio, è una passione che coltivo da tempo, oggi trasformata in qualcosa di vitale per il richiamo di teneri ricordi e per l’occasione di nuovi incontri. Ma è una passione che si è fatta ancora più bella e profonda grazie all’allegra compagnia dei Borgonauti, uniti dal desiderio di conoscere l’anima dei borghi consumati dal tempo e dalla speranza di vederli un giorno rianimati dalla freschezza di future generazioni. Oggi l’America del murales è la città, il caos, i luoghi affollati, i bar, il degrado, tutto a portata di mano…Il sogno dei Borgonauti è quello di vedere quel veliero fare rotta verso i borghi, traghettare le persone verso luoghi dimenticati che hanno bisogno solo di essere abitati.

Il "Sogno americano"
Il "Sogno americano"

Benevento, la città delle streghe

Per chi a Benevento mai è stato perché le janare non vuole incontrare, sveliamo un trucco per poterle ingannare!

Benevento è una città carica di storia e ogni epoca che l’ha attraversata ha lasciato il proprio segno di riconoscimento a memoria di un passato fiero come i Sanniti, imperiale come i Romani, pagano come i Longobardi.

Se pensiamo al presente di Benevento, sicuramente il ricordo che lascerà al futuro è quello di una città lontana dalla cronaca sulla criminalità o sui rifiuti che quotidianamente ferisce il popolo campano. Benevento è infatti tranquilla, ordinata, pulita, distaccata dal caos caratteristico delle città del Sud. Anche il clima sembra fare la sua parte con inverni più rigidi e stagioni non sempre mediterranee.

Ma se infine pensiamo a Benevento in un tempo indefinito, l’immagine che abbiamo è di una città con una identità solida e insolita che abbonda di misteri e leggende, streghe e riti di magia, miti dal fascino senza tempo.

Benevento offre molto ai turisti appassionati di storia, arte e architettura oppure presi dalla voglia di passeggiare per spazi verdi o ancora incuriositi dai prodotti gastronomici. È ricca di monumenti e luoghi di interesse ma come ogni grande città, il tempo non è mai abbastanza per scrutare tutti i suoi angoli e conoscerla tutta, nella propria personale bellezza.

Il teatro romano
Il teatro romano

La passeggiata insieme ai Borgonauti è stata simpatica e suggestiva: abbiamo scelto per questa nostra prima visita di vederci chiaro sulla questione delle Streghe di Benevento. Ci siamo quindi recati al museo Janua dove la guida e il viaggio multimediale ci hanno condotti nell’incredibile mondo delle janare, le streghe così chiamate nell’Italia meridionale.

Era domenica, ma appena arrivati siamo misteriosamente tornati indietro di un giorno. Sì, perché a Benevento è sempre sabato quando le janare, impegnate nel rito del Sabba, si tengono lontane dalle faccende umane. Ci è stato poi svelato un piccolo trucco per metterci al riparo dai malefici di queste streghe dispettose e cioè: ogni qual volta si pronuncia la parola “janara” bisogna incrociare le gambe e ripetere “oggi è sabato”!

Divertiti da questo aneddoto ma anche suggestionati dalla possibilità di poter realmente incrociare queste donne dai poteri magici, abbiamo trascorso parte della giornata a compiere questa pratica superstiziosa.

La guida, beneventana doc, è stata molto carina e paziente ad accogliere le nostre domande, a volte indiscrete, nella speranza di farci confessare qualche formula magica. Ma niente da fare: queste vanno tramandate solamente nella notte di Natale, bisbigliate nell’orecchio della futura custode di questo patrimonio straordinario.

La visita al museo è stata davvero piacevole e affascinante, merito anche di un’ottima scenografia. C’è infatti una sala dove è stato riprodotto il famoso “Nocio e Beneviente” con riproduzioni multimediali che avvolgono totalmente il visitatore e lo trascinano lungo le sponde del fiume Sabato, in quel luogo segreto, da sempre non identificato dove le streghe di varia provenienza si riuniscono per celebrare la cerimonia del Sabba nella quale si compiono pratiche eretiche.

Per raggiungere l’albero di noce la janara esce di notte, si infiltra nelle stalle per rapire un cavallo e, veloce nel percorrere lunghe distanze e ritornare con le prime luci del sole senza essere smascherata, cavalca sfrenata per tutta la notte. La mattina seguente il cavallo, sfinito per la fatica immane e con la criniera aggrovigliata dal vento durante la cavalcata, lascia un chiaro segno della presenza della janara.

Pagine di stregoneria
Simboli e magia
Bastone appartenuto ad uno stregone

Secondo le credenze popolari la strega beneventana, contrariamente alla più generica figura della strega, può essere una donna dai tratti tipicamente umani, quindi insospettabile che solo di notte fa emergere la sua vera natura. È una donna esperta di erbe, non è malvagia ma può divertirsi a lanciare malocchi a sue possibili rivali oppure durante la notte tramutandosi in vento o in gatto striscia sotto le porte e si accomoda sul petto degli uomini provocando nel sonno una sensazione di soffocamento.

C’è poi un’altra area del museo adibita con i “ferri” del mestiere di queste sapienti donne come erbe medicinali, bastoni dai poteri magici, amuleti, ex-voto e libri scritti in lingue incomprensibili fatte di simboli e figure oscure.

Tante altre curiosità abbiamo scoperto durante questa visita come quelle della notte di san Giovanni quando per tradizione si stende la biancheria al cielo per raccogliere la rugiada miracolosa o ancora, sempre nella stessa notte rituali legati all’amore delle giovani ragazze. Si crede infatti che sciogliendo pezzetti di piombo in acqua, quando poi si vanno a solidificare restituiscono una forma che suggerisce il mestiere del futuro marito.

Insomma, Benevento oltre ad avere tutte quelle qualità e caratteristiche che ne fanno una città moderna, pronta ad ospitare turisti da ogni luogo e generazione conserva un patrimonio di riti e tradizioni che la rendono unica.

Amuleti
Rituali legati all'amore delle giovani ragazze
Le erbe dai poteri magici

Sessa Aurunca – Il teatro della storia

È stato amore a prima vista quando ho scoperto Sessa Aurunca in un pomeriggio di fine estate, quando tornando da una tranquilla giornata sulle spiagge ormai deserte di Baia Domizia, io e Mario decidemmo di fare tappa in questa città, ancora sconosciuta ma che misteriosamente ci destava curiosità.

Anche la seconda volta è stato di ritorno dal mare, ma era pieno inverno. Poi le passeggiate e la scoperta per Sessa Aurunca sono diventate sempre più frequenti, ogni volta invitando amici per condividere le emozioni che questa città dalle strade inspiegabilmente silenziose può regalare. (Molte case nel centro storico sono infatti in vendita, alcune addirittura in regalo per pochissime migliaia di euro). Sessa Aurunca mi piace troppo e si trova sul mio podio personale dei borghi più bella della Campania.

Il motivo principale? Quello più delizioso! Abbiamo conosciuto Franco, proprietario di una piccola locanda situata nella piazza che ospita la monumentale Fontana dell’Ercole. Questo simpatico sessano, con amore e tenacia, porta avanti la sua attività da qualche anno e sono anche i prodotti che ci offre a spingerci a percorrere 50 km e non sentirne il peso.

C’è da dire che nella parte finale del viaggio siamo in compagnia delle belle campagne locali dove da secoli, sulla lava antica del Roccamonfina hanno dimora i saggi ulivi e le viti rigogliose.

È da queste preziose piante che nascono le olive sessane, poi “acciaccate” con il finocchietto selvatico e il Falerno, il vino dei Romani che continua a rallegrare la semplicità della bella compagnia.

Questo vino ha infatti deliziato la mia ultima visita a Sessa Aurunca, fatta insieme ai Borgonauti alla scoperta dell’antico teatro romano, della possente architettura del Castello, dei vicoli che durante la Settimana santa si accendono di riti e magia, del Duomo e la simbologia nascosta del Medioevo… di questa città, a me tanto cara.

Antico teatro romano

Immerso in un’ampia collina, l’antico Teatro romano assiste al meraviglioso spettacolo della natura.

Gli alberi e le foglie danzanti,

le pietre dalle infinite sfumature,

la spontaneità dei fiori,

i frutti profumati,

la terra fertile…

si esibiscono in un’opera antica e sempre viva nel presente.

Resti archeologici del teatro
La monumentale Fontana d’Ercole
Da Franco a Sessa Aurunca
Architettura e simbologia medievale
La Cattedrale, luogo di culto e dei tradizionali riti senza tempo
Il Castello ducale