Santa Maria Occorrevole e la magia della natura

Sul Monte Muto, ai cui piedi è posta la città di Piedimonte Matese, esiste un luogo di grande suggestione spirituale dove la natura e la pace incantano l’uomo. È un posto dove praticare il silenzio, evocato già dal nome della montagna…le parole diventano mute e il cuore canta! Il complesso conventuale di Santa Maria Occorrevole e l’Eremo della Solitudine regalano attimi magici: la natura e il patrimonio artistico e religioso esercitano sul visitatore un fascino particolare così che la mente si svuota e i sensi si appagano.

Porta del Paradiso
Vista su Castello del Matese

Il percorso virtuale partirà dal monumentale Campanile di San Pasquale che in un largo piazzale domina su tutta la pianura Alifana, per diventare man mano più intimo: dalla riservatezza del Convento fino ai segreti della natura selvaggia dell’Eremo.

Non mi dilungherò sulla storia e le minuzie architettoniche perché sono luoghi dello spirito, condividerò, invece, ciò che abbiamo visto e ci ha emozionato…le foto non possono catturare la freschezza dell’aria e gli odori del bosco, tuttavia guidano lo sguardo alla bellezza.

Attimi di pace

CAMPANILE DI SAN PASQUALE

Il campanile, visibile da tutti i punti della valle, sembra innalzarsi quasi a protettore ed osservatore dell’area sottostante e il tocco delle sue campane segnava per i contadini lo scorrere delle ore nel duro lavoro delle campagne. Si trova spostato in avanti al convento, isolato e completamente separato dall’intero complesso di Santa Maria Occorrevole. Si tratta di una posizione un po’ insolita per una torre campanaria ma il motivo di questa notevole distanza è stato quello di evitare che i fulmini potessero danneggiare il convento. La prima costruzione del campanile, risalente al XVII secolo, fu infatti distrutta da un violento temporale.

Stare ai piedi dell’imponente campanile e di fronte all’immenso panorama ti fa sentire piccoli piccoli ma con lo sguardo si possono raggiungere orizzonti lontani e allora, ammirare così tanta bellezza ti fa sentire fortunato.

Campanile di San Pasquale
L'imponente campanile con vista sulla valle

CHIESA E CONVENTO DI SANTA MARIA OCCORREVOLE

LEGGENDA

Sulle origini della chiesa e del convento esiste una leggenda, secondo la quale, durante la Quaresima del 1436, un pastore, alla ricerca di una pecorella smarrita, trovò l’immagine della Madonna dipinta su un vecchio muro coperto di spine. La leggenda narra che “il pio pastore non volle essere da meno del piccolo animale di servire e pregare la Beata Vergine, così, ogni giorno, su quelle alture un’esile voce umana, confusa al belato di un gregge, si levava devota a cantare alla Beata Vergine…” (Padre Crisostomo Bovenzi). Il ritrovamento miracoloso si diffuse rapidamente tra il popolo, così, molti fedeli cominciarono a salire sul Monte Muto per venerare la Madonna. Si decise quindi, di costruire su quella montagna una chiesa sia per proteggere l’immagine sacra sia per raccogliere i fedeli che diventavano sempre più numerosi.

Santa Maria Occorrecole
Piazzale del Convento
Facciata Convento

CENNI ARTISTICI

Tutto il complesso è contraddistinto dalla semplicità e caratteristica singolare è il biancore delle costruzioni che spicca nella rigogliosa vegetazione. Nel piazzale antistante si trova una piccola fontana con al centro la statua in bronzo di San Pasquale Baylon, anche questa semplice e in armonia con tutto l’ambiente.

Chiostro del convento
Vista sui Monti del Matese

La chiesa all’interno conserva la stessa purezza e candore che si assapora fuori dalle sue mura, tuttavia sono conservati sull’abside degli affreschi del ‘400 eseguiti da un ignoto pittore campano che creano tanto stupore negli occhi di chi l’ammira. Al centro dell’opera è rappresentato il Cristo Pantocrator, sostenuto dagli Angeli, mentre nella parte inferiore sono collocate otto figure, di una grazia straordinaria. Si tratta di S. Filippo, S. Elena, la Madonna del Latte, S. Caterina d’Alessandria con la ruota del martirio, S. Maria Maddalena con il vaso d’unguento, la Madonna del Giglio, S. Giacomo Minore con il bastone e la Madonna del Granato. Al centro dei santi risalta la Vergine Orante, ossia Santa Maria Occorrevole con le braccia levate al cielo.

Vergine Orante con Santi
Abside affrescato con il Cristo Pantocrator
Abside affrescato con il Cristo Pantocrator
Interno chiesa
Santa Caterina d'Alessandria

PERCORCO VERSO L’EREMO DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI

Dal piazzale della chiesa si può percorrere un vialetto che conduce in uno luogo dello spirito tanto suggestivo, una vera oasi di pace. Si accede attraverso un cancello sormontato da un’epigrafe di lode alla solitudine. Si narra che nel passato fosse severamente vietato varcare il Muro della Solitudine senza il permesso del Padre Superiore e coloro che contravvenivano a tale disposizione venivano puniti. Oggi per fortuna si può entrare in questa area mistica e soprattutto non ci sono pene per chi, come i Borgonauti, non rispetta le regole del silenzio quando si è in bella compagnia.

Erbe aromatiche
Entri chi tace perché il solo silenzio è qui loquace
Cancello e muro della Solitudine

Per raggiungere l’eremo bisogna percorrere un sentiero nel bosco fiancheggiato dalle edicole maiolicate della via Crucis. Inoltre, camminando tra querce, faggi e lecci secolari e tra le erbe selvatiche, ci si imbatte in un’esplosione di profumi e il respiro si fa leggero. Di tanto in tanto poi, si sente qualche foglia scricchiolare, segno che il bosco è il regno degli animali e l’uomo deve rispettare le sue leggi soprannaturali.

Viale incantato
Borgonauti che violano le regole del silenzio
Edicola della via Crucis
Bosco con edicole maiolicate
Il fiume Titerno sotto il ponte di Annibale

La natura e l’uomo – Alla scoperta delle Forre di Lavello

Quale sensazione più bella può esserci, in piena estate, in una calda domenica di agosto, di tuffarsi nelle gelide e trasparenti acque di un fiume, all’interno di gole scavate nella pietra, protetti dalle pareti rocciose dei monti, circondati dagli alberi e coperti solo da un cielo limpido che si lascia attraversare dalla luce filtrante del sole agostano?

Beh vi dirò che, contrariamente a quel che immaginavo, questa è stata solo una delle meravigliose emozioni che ha regalato, a noi borgonauti, la passeggiata alle Forre di Lavello, uno splendido canyon, detto appunto “Lavello”, di circa 30 metri di profondità, nato tra i monti Erbano e Cigno, grazie alla forza erosiva delle acque del fiume Titerno a contatto con la pietra calcarea.

Il sentiero che fiancheggia il torrente, al confine tra i comuni di Cerreto Sannita e Cusano Mutri (nel Beneventano) ripercorre un’antichissima strada mulattiera di epoca sannita, che era fondamentale per gli abitanti della valle che si recavano verso la montagna.

Come anticipato sopra, il tuffo finale nelle forre è stato solo l’approdo e il bellissimo coronamento di un’escursione iniziata diverse ore prima, che può regalare davvero un avventuroso e intenso percorso, all’interno di un’altalena di emozioni.

Le Forre viste dall'alto
Scorci lungo la discesa

IL SENSO DELL’ESPLORAZIONE

Spesso quando si progetta di fare una passeggiata in montagna, una giornata di trekking o un’escursione tra amici o in famiglia, ci si concentra sull’equipaggiamento da portare e sull’abbigliamento da usare, solitamente scarpe comode con una suola non liscia, vestiti sportivi, occhiali da sole, zainetto con borraccia o bottiglie d’acqua, una colazione a sacco e, qualora si preveda una sosta con annesso bagno nelle acque del luogo, magari anche un costume! Ed è stata questa anche la base di partenza della nostra giornata matesina.

Quello sui cui, però, spesso non si ragiona è cosa occorra “lasciare” a casa per vivere al meglio questo genere di esperienza e con che tipo di bagaglio si possa tornare dopo l’esplorazione. Quando, infatti, si decide di attraversare un tratto di montagna quasi incontaminata, quale è questo selvaggio e suggestivo angolo del Parco nazionale del Matese, e si pensa, quindi, di entrare in uno spazio-dominio assoluto della natura, si apprende anche, quasi in maniera inconsapevole, il rispetto ancestrale per essa e di conseguenza per la vita.

Infatti, nel ricercare i sentieri, appena vagamente indicati o tracciati, nel batterli e sperimentarli con il desiderio e la curiosità di scoprire cosa vi sia alla fine del percorso e quale sia la strada più breve o più giusta, diventano importantissimi tanti piccoli elementi spesso trascurati e che, in questo contesto specifico, si riscoprono fondamentali: la roccia che ci fornisce riparo e ombra quando il sole picchia troppo forte, il vento che soffia tra gli alberi donando sollievo e spingendoci quasi in avanti, la vegetazione che ci regala frutti, colori e profumi insieme a spettacoli di grande bellezza, l’acqua che permette di idratarci, la capacità di orientarsi senza gps ma guardandosi intorno, la coordinazione tra i passi e il senso dell’equilibrio che diviene prezioso quando si esce dall’universo modellato dall’uomo solo per le sue esigenze e si calpesta, invece, il regno della natura, che può affascinarci o anche metterci in seria difficoltà, se non si entra in sintonia con essa.

Flora e fauna delle Forre
Natura selvaggia
Giochi di riflesso
Giochi di riflesso

Ed ecco che, allora, in un attimo, si comprende quanto sia importante capire la natura, sentire la terra, interpretare i suoi segnali, ascoltandola con calma e riscoprendo così anche un po’ se stessi. Se lo si farà, lasciando indietro maschere, sovrastrutture, paure consce e inconsce, la natura si lascerà attraversare regalando momenti e scenari imperdibili, aiutandoci ad affrontare tabù e superare i nostri limiti.

Questa sensazione un po’ magica di sentirsi, come essere umano, solo una piccola parte di un contesto più grande che ti accoglie, ti mette alla prova e ti premia se ti metti in gioco, mi ha accompagnato in tutto il percorso fatto dal Ponte di Annibale al Ponte dei Mulini e lungo la risalita sul monte Cigno.

Il Ponte di Annibale

L’inizio della passeggiata – Il Ponte di Annibale

Guidando lungo la strada provinciale Cerreto Sannita-Cusano Mutri, ad un certo punto abbiamo notato un monumento in ferro raffigurante alcuni elefanti: questo è l’indicatore che segna l’inizio di una strada che porta al famoso Ponte di Annibale. Parcheggiata l’auto nell’area antistante, abbiamo iniziato a scendere a piedi lungo il sentiero che ci ha portato, in pochi minuti, direttamente, come una macchina del tempo, nelle viscere della Storia.

Il ponte, lungo 13 metri, largo 1,5 metri con una luce di 9,15 metri, è formato da una sola arcata a tutto sesto che giganteggia sul corso del fiume Titerno ed è costruito interamente con l’uso di pietra locale.

Secondo la leggenda sul ponte sarebbe passato il celebre condottiero cartaginese Annibale, assieme ai suoi elefanti, durante la sua discesa al tempo della seconda guerra punica, per nascondere un bottino di guerra sul vicino monte Cigno. Anche lo storico Polibio racconta una versione dei fatti che rinvigorisce tale ipotesi. Recentemente la leggenda sembrava aver trovato un’ulteriore conferma grazie al ritrovamento, il 10 febbraio 1951, sul monte Cigno, di alcune monete in argento di epoca romana, databili al periodo storico della narrazione. Sull’eventuale presenza di Annibale in queste zone gli storici dell’antichità hanno opinioni controverse: Tito Livio, al contrario di Polibio, narra che colui che attraversò la Cominium Cerritum sannita fu Annone, generale di Annibale.

Il ponte è stato edificato in epoca romana e successivamente ristrutturato più volte specie dopo il sisma del 1688, anche se ha conservato nel tempo la sua fisionomia. Durante il terremoto citato mentre Cerreto Sannita fu quasi interamente distrutta, Cusano Mutri restò indenne e per ringraziamento furono edificate le cappelle di Santa Maria della Pietà (poi sconsacrata) e quella della Santa Croce utilizzando le pietre e l’area del fortino Castelluccio, ribattezzando poi l’altura principale Monte Calvario.

Dopo aver attraversato il ponte, ammirato da esso il corso del fiume e aver percorso brevemente un piccolo tratto dei sentieri a destra e sinistra del ponte, che costeggiano il fiume dall’alto, siamo tornati all’auto in direzione “Forre di Lavello”.

Costeggiando il Titerno

Ritornando sulla strada provinciale verso Cusano Mutri o verso Civitella Licinio in entrambi i casi si incontra una stradina che un tempo era veicolabile in auto ma che, a causa di frane in passato, ora è percorribile solo a piedi, come è reso intuitivo dalla presenza di un enorme macigno posto al centro della strada. C’è uno spazio parcheggio prima di tale masso, in cui si può fermare l’automobile per poi continuare a piedi.

Proseguendo verso Nord, dopo un po’ di asfalto, si incontra sulla sinistra una scalinata che, ahimè, solo alla fine della nostra escursione, abbiamo capito essere il vero inizio del percorso, dotato anche di un cartello che funge da mappa e che è una delle poche indicazioni sul sentiero.

Se da là si prosegue attraversando il Ponte di Pesco appeso a cavallo del fiume Titerno, si arriva a un bivio, in cui si comincerà a salire per incontrare rispettivamente la Grotta delle Fate, una grotta artificiale scavata nella roccia calcarea ai fini di sondare il terreno per la costruzione di una diga, fino alla Grotta dei Briganti, che rappresenta la parte più “avventurosa” del sentiero, una piccola fessura tra le rocce, ricca di stalattiti e stalagmiti, La Grotta delle Streghe e alcuni punti panoramici come il Belvedere sulla Forra.

Come anticipavo prima, solo alla fine della giornata noi borgonauti abbiamo compreso che questo è il modo più agevole di visitare le Forre di Lavello ed è probabilmente la modalità di escursione che utilizzeremo la prossima volta che decideremo di tornare al Lavello.

 

Inizio del nostro percorso
Inizio del nostro percorso
Bivii lungo il tragitto
Il fiume Titerno

Invece, durante la nostra prima visita, dopo aver ignorato la scalinata, abbiamo deciso di scendere tramite una stradina alla sinistra di un ponte di legno, lungo il corso del fiume, che stavamo già ammirando dall’alto in tutta la sua selvaggia bellezza, tra piccole cascate, rivoli, insenature e grotte.

Abbiamo deciso di seguire solo il nostro senso di orientamento e costeggiare il Titerno a piedi dal basso, trovandoci poi a farci largo nel letto del fiume tra rocce scivolose e piccoli salti da fare, un cammino un po’ tortuoso che, forse, senza gli amici borgonauti, non avrei tentato di portare a termine, precludendomi di assistere alla meraviglia che entro pochi minuti ci saremmo trovati davanti agli occhi.

Infatti dopo aver superato, grazie al reciproco incoraggiamento, qualche resistenza e l’incoscia paura di cadere e inciampare, ci siamo ritrovati in un punto di incantevole bellezza,  all’interno di pozze d’acqua fredda stupende in cui immergersi dopo la traversata, all’altezza del Ponte del Mulino, un ponticello stretto, corto, formato da rocce posizionate in modo da formare un arco, che sembra in perenne bilico e che invece è parte costituente da sempre di quello scenario,incorniciato in alto da una flora ricchissima fatta di faggi, castagni e un fitto sottobosco.

Il Ponte del Mulino
Il Ponte del Mulino

Dopo aver mangiato lungo le sponde del fiume, trovato ristoro in acqua, aver conosciuto altri esploratori con cui scambiare itinerari e impressioni sui dintorni, aver assistito ai tuffi dal ponte, scattato diverse foto ricordo, decidiamo di risalire partendo dal Ponte del Mulino tramite un sentiero, in parte privo di protezioni, lungo il monte Cigno, seguendo il sentiero in direzione inversa rispetto a quella descritta in prima istanza, strada che ci riporta esattamente al punto di partenza, la scalinata sull’asfalto lasciato alle nostre spalle la mattina, di cui quasi avevamo dimenticato l’esistenza, dopo tante ore avvolti nell’abbraccio di tutti gli elementi primordiali del mondo naturale che ci hanno ricordato la nostra vera essenza, il nostro posto nel mondo e il valore inestimabile di questo tipo di passeggiate.

La Cipresseta di Fontegreca

Avreste mai pensato che a pochi chilometri da casa nostra, spingendoci ai confini della provincia di Caserta, non molto lontano dal Molise, potessimo trovare un tipico paesaggio svizzero? Se non ci credete provate a visitare la Cipresseta di Fontegreca e scoprirete un ambiente degno delle più belle favole, grazie al quale si può riscoprire il gusto ed il piacere di entrare in stretto contatto con la natura.

Ci troviamo precisamente nel Parco Regionale del Matese, in una zona ricca di uliveti e  vigneti dove, per circostanze non ancora completamente chiarite, si è venuto a creare nel corso dei secoli un bosco verticale di magnifici cipressi di una varietà  poco comune. Come ogni bosco che si rispetti, anche la Cipresseta ha il suo meraviglioso corso d’acqua: il fiume Sava, che partendo dalla montagna sovrastante supera rocce e vegetazione formando di volta in volta graziosi dislivelli e pozze d’acqua fredda e cristallina, che per gli amanti delle basse temperature è ottima per rinfrescarsi.

Esistono due percorsi che permettono di visitare la Cipresseta e che si caratterizzano per una differente difficoltà: uno impervio, poco raccomandabile per i meno esperti e per coloro che temono di bagnarsi nei rivoli d’acqua gelida, l’altro più semplice e ben strutturato; in entrambi i casi avrete l’occasione di poter visitare questo piccolo angolo di paradiso immergendovi completamente nella natura incontaminata. Il percorso completo  è lungo circa due chilometri, il dislivello in salita è di 200 metri e ha un tempo di percorrenza, escludendo le soste,di circa due ore. Attraversando il sentiero che si inoltra fino alla zona più alta si incontrano vari terrazzamenti attrezzati con tavoli e panche, ottime per organizzare un picnic in compagnia, senza considerare le fantastiche piscine naturali, particolarmente invitanti, soprattutto se  l’escursione la si organizza durante il periodo estivo.

L’acqua cristallina sarà un vero toccasana, vi ripristinerà di nuova energia che magari potrete utilizzare per continuare la passeggiata fino al punto più alto, scoprendo nuovi angoli immersi nella natura e godere di tutta l’aria salubre di questo fantastico paradiso incontaminato.

 

-Giuseppe Chianese-

Il lago d’Averno, tra natura e leggende

Il lago d’Averno: una meta tanto conosciuta, ma in realtà a molti sconosciuta!

Non mi ero mai soffermata sulla bellezza e sulla ricchezza di questo lago, che si è scoperto un luogo idilliaco, ricco di natura, storia, leggende e soprattutto di serenità. È uno di quei luoghi che ti lasciano addosso un senso di leggerezza, con la sua bellissima passeggiata immersa nel verde, tra svariati tipi di fiori, alberi di ogni specie, vigneti, tutto avvolto da una storia lunga secoli.

Contrariamente a quanto ricorda il nome Avernus, dal greco Aornon, luogo senza uccelli è proprio qui che si incontrano una svariata quantità di volatili. Eh sì, si diceva che vista l’origine vulcanica, le acque esalassero acido carbonico e gas che non permettevano la vita agli uccelli. In realtà essendo il lago nato nel cratere di un vulcano che si è spento, circa 4000 anni fa, le continue emissioni sulfuree dal suo cratere provocarono la morte di tutti gli uccelli che si alzavano in volo verso quella zona. Così, gli antichi chiamarono questo lago con il nome di Aornon.

Sulla riva orientale del lago incontriamo il tempio di Apollo, che in realtà è una bellissima sala termale, invece, lungo la riva opposta troviamo la grotta della Sibilla. Dal connubio delle antiche rovine prende vita il velo di mistero che avvolge il lago, immerso tra mitologia greca e vicende militari.

La leggenda narra che lungo le rive del lago fosse ubicata la porta degli inferi, come narrano anche Virgilio nell’Eneide e Dante Alighieri nella Divina Commedia. Sono innumerevoli i racconti e le leggende riguardanti il lago, non mancano, inoltre le narrazioni storiche che vedono il lago anche luogo di imprese militari.

Il Tempio di Apollo

Il tempio di Apollo

Passeggiando lungo le rive di lago, immerso tra i vigneti, siamo subito catturati dalla bellissima sala termale, che si estendeva fino alle rive del lago, probabilmente per sfruttarne le fumarole con i loro benefici. Per la vicinanze alla grotta dove operava la Sibilla oggi è noto come Tempio di Apollo.

Oggi, si può vedere solo una parte dell’opera laterizia a pianta circolare, che un tempo era una grande sala centrale, con un grande tetto a cupola, alto circa 20 metri. I 38 metri di diametro della cupola la rendono un’opera di carattere stupefacente, paragonabile al Pantheon, uno dei più grossi complessi termali giunti fino a noi.

La grotta della Sibilla

La grotta della Sibilla

Il legame con il tempio di Apollo è dovuto alla presenza della Sibilla Cumana, una delle più importanti sacerdotesse del mondo antico, che avevano il dono della veggenza.

La leggende dice che un giorno Apollo si innamorò di Sibilla, una bellissima fanciulla che possedeva capacità divinatorie. Per conquistarla il dio promise alla giovane che avrebbe esaudito ogni suo desiderio e allora Sibilla prese un pugno di sabbia dalla spiaggia e chiese ad Apollo di lasciarla vivere tanti anni quanti i granelli che aveva raccolto nella sua mano. Fu accontentata e le fu disposto come luogo per poter officiare la sua arte divinatoria Cuma, dove fu amata perdutamente da Apollo. Ma la fanciulla aveva dimenticato di specificare che voleva vivere tanti anni in eterna gioventù e così, invecchiava sempre di più e il suo corpo si consumava. Allora Apollo, per preservarla dall’incuria del tempo la collocò in una gabbietta all’interno dell’antro, finché di lei non rimase che la voce, unica testimonianza fisica della sua presenza che profetizzò ancora a lungo gli eventi futuri.

L’antro della Sibilla Cumana in realtà si trova nel Parco Archeologico di Cuma, all’interno dei Campi Flegrei e la grotta della Sibilla altro non è che un camminamento militare scavato nel tufo in epoca romana come collegamento al Portus Julius.

Infatti, qui i romani, sotto Agrippa, costruirono un canale di collegamento diretto dal mare trasformando il lago in uno dei porti di Cuma, il porto Julius. Fu inoltre realizzato un ingegnoso canale navigabile che metteva in comunicazione il lago d’Averno con il vicino lago Lucrino e quest’ultimo con il mare. Contemporaneamente alla creazione del nuovo porto, furono anche scavate due gallerie: la grotta di Cocceio, che collegava il porto Julius alla parte bassa di Cuma; la grotta della Sibilla, scavata nella collina che separa il lago di Averno dal lago di Lucrino, che congiungevano rapidamente il porto con la vicina Cuma e che permettevano ai soldati di muoversi rapidi e indisturbati.

L’improvvisa eruzione del Monte Nuovo nel 1538 stravolse l’intera area flegrea e di conseguenza il Lago d’Averno fu isolato dal mare.

Insomma, il lago D’Averno è un vero e proprio polmone verde che ti offre una piacevole passeggiata di circa tre chilometri tra una fitta popolazione di fauna e flora, dove i vigneti fanno da sfondo al tempio dando vita ad un’esperienza mistica, dove la natura si intreccia con la storia e i suoi misteri. Una passeggiata suggestiva, dove non mancano le sorprese, e per gli appassionati della natura tantissime specie da ammirare e conoscere.