Spesso, quando si riesce a trovare un momento di calma nel turbinio della nostra vita frenetica e ci si ferma a pensare, riaffiorano nella mente pezzi di vita o frammenti di altre vite, quelli delle storie lette e interiorizzate, soprattutto quelle metabolizzate quando si era bambini. In queste settimane mi sono soffermata su un passaggio del libro “Il Giardino segreto” di Frances Hodgson Burnett:
«Una delle cose strane della vita di questo mondo è che solo qualche volta uno si sente veramente contento di vivere. Succede, per esempio, se ti alzi presto una mattina e assisti a quel meraviglioso, indescrivibile spettacolo che sono l’alba e il sorgere del sole. Se in un momento così si riesce a dimenticare tutto e a guardare solo il cielo che da pallido va prendendo colore, il misterioso spettacolo che ti prende alla gola e ti fa commuovere davanti a tanta bellezza che pur si ripete ogni giorno da migliaia di migliaia di migliaia di anni e ti senti felice di poterci assistere. Succede, per esempio, se ti trovi solo in un bosco al tramonto e riesci ad ascoltare le cose meravigliose che ti ripetono, senza che le tue orecchie possano intenderle, i raggi del sole che se ne va e che ti raggiungono come una pioggia d’oro attraverso i rami e le foglie degli alberi».
Ho ripensato così al Giardino segreto di Mary e Colin e in questo strano e drammatico anno, il 2020, che ha messo in discussione tante abitudini, sottratto molte possibilità alla voglia di scoperta e di viaggio, sostituendo il desiderio di visitare e la sete di conoscenza con la paura del contagio, passeggiare all’aperto in mezzo al verde, avvolti dallo spettacolo che la natura continua a offrirci, tra prati fioriti, fila di alberi, piante e cespugli, sfumature di centinaia di colori offerti dal paesaggio e l’estasi olfattiva di tanti profumi, risulta essere una delle migliori alternative per entrare in comunione con il mondo esterno e sentirsi vivi.
Se poi la visita a giardini, boschi e parchi naturali si accompagnasse anche alla scoperta di mirabili opere d’arte nascoste, frutto del genio di artisti che negli anni hanno contribuito a creare dei piccoli “regni” fiabeschi, in cui arte e natura formano un connubio indissolubile, non sarebbe perfetto?
La risposta è stata affermativa e in un momento in cui purtroppo le visite ai tanti meravigliosi siti artistici e culturali di cui è ricco il Patrimonio italiano sono contingentate e, ahimè, in alcuni casi sono addirittura provvisoriamente negate, abbiamo scoperto che esiste sul suolo, sempre prodigo di tesori e sorprese del nostro Paese, una serie di giardini segreti favolosi, romantici o esoterici, irreali o mostruosi, in cui la ricchezza della flora si sposa perfettamente con la creatività dell’arte, facendo nascere dei paradisi in cui le tracce dell’uomo, del suo pensiero, del suo talento si intrecciano magicamente con la vegetazione.
Non credo sia un caso che la parola “paradiso” derivi dal persiano pairidaeza, da cui anche l’ebraico pardeš, attraverso il greco παράδεισος, con il significato originario di “giardino recinto” o “parco”. Questi labirinti di verde e creazioni artistiche cambiano di forma, dimensione e sembianze in base al contesto storico e paesaggistico in cui sono sorti ed è per questo che attraversarli è un po’ come sfogliare le pagine di libri di storia e di arte. Mentre tutti conosciamo Parc Güell, diventato negli anni uno dei simboli di Barcellona, inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità Unesco, parco progettato dall’architetto catalano Antoni Gaudì a inizio del ‘900, che si trova sulla collina El Carmel nel quartiere Gràcia e che è divenuto una delle mete turistiche più belle della Spagna e d’Europa, invece in pochi conosciamo la varietà e la ricchezza dei giardini nostrani. Proprio per questo oggi vogliamo parlarvi di alcuni dei parchi italiani che abbiamo visitato e che ci hanno colpito, in rappresentanza di tutti quelli che ancora dobbiamo conoscere e scoprire.
IL SACRO BOSCO DI BOMARZO
Ai piedi del Monte Cimino, la più alta cima dell’Antiappennino laziale, a Bomarzo in provincia di Viterbo, si trova la Villa delle Meraviglie detta anche Sacro Bosco o Parco dei mostri. Appena si varca l’ingresso si fa un salto indietro nel tempo di quasi cinquecento anni all’epoca in cui il principe Pier Francesco Orsini noto come Vicino Orsini e l’architetto Pirro Ligorio progettarono nel 1552 la loro opera, un unicum nel panorama italiano e mondiale per il quale sembra che anche Goethe e Dalì avessero un debole. Se da un lato nel parco possiamo osservare raffinati giardini all’italiana, dall’altro nel bosco si trovano decine di sculture di basalto raffiguranti mostri, creature oniriche, soggetti mitologici e animali esotici, ma anche obelischi, fontane e un’incredibile casetta pendente. Vicino, signore di Bomarzo, fece scolpire le rocce sul posto, animandole e donando ad esse forme, a volte minacciose e a volte incantate. Alla morte del principe, anche il parco morì e per secoli rimase abbandonato e dimenticato fino al recente restauro che l’ha riportato in vita per la gioia di tutti noi visitatori. Il bosco, pur inserendosi nella cultura architettonica-naturalistica del secondo Cinquecento, sfugge ai canoni delle altre opere in quanto le sculture rocciose sono svincolate da vicendevoli rapporti prospettici o proporzionali. La simmetria classica cede il passo al gusto manierista per il bizzarro e, con i suoi elementi giganteschi, crea un rapporto sconcertante con la natura.



Interpretazioni
Molti hanno provato a interpretare il disegno alla base di questo luogo un po’ sospeso tra arte, magia e letteratura cavalleresca, ma il giardino di Bomarzo è probabilmente destinato a rimanere un luogo intriso di fascino, che sollecita l’immaginario di ciascun visitatore chiamato a formulare la propria idea.
Tra le varie ipotesi di recente si è affermata la rilettura del prof. Antonio Rocca, storico dell’arte, che individua nell’Idea del theatro di Giulio Camillo la fonte iconografica del parco.
L’accezione egemone del termine “Teatro” durante il XVI e XVII secolo era infatti quella di dispositivo panoramico. Un manuale, un giardino, o qualunque altro strumento in grado di esporre visivamente un argomento era definito un teatro. Sarebbe quindi esatto sostenere che a Bomarzo sia reso possibile attraversare la visione del mondo che dalla Grecia del V secolo a.C. è giunta sino alle soglie della Rivoluzione scientifica.
L’Orsini avrebbe trasformato in pietra la sintesi della cultura greca, ebraica e cristiana realizzata da Camillo per offrirci lo spettacolo, in continuo divenire, del farsi mondo di Dio.
Il Bosco sarebbe quindi il luogo della catarsi, la seconda possibilità che l’arte offre ad una vita piena di errori, luogo oracolare nel quale l’uomo può riscoprire la sua natura triplice sino al compimento della deificazione.
IL GIARDINO DI NINFA
Ai piedi dei monti Lepini, sui ruderi della città medievale di Ninfa, nell’agro pontino, esiste un meraviglioso giardino di otto ettari eletto dal New York Times il più bello e romantico del mondo, dichiarato Monumento naturale dalla Regione Lazio dal 2000 e Oasi affiliata del WWF.
Il clima unico che qui si ritrova, grazie anche alla rupe di Norma che protegge il territorio dai venti del nord e crea un microclima favorevole, favorisce la crescita all’interno del giardino, tra il fiume Ninfa e vari ruscelli d’irrigazione, di circa 1300 specie di piante provenienti da ogni parte del mondo. Accanto alla flora mediterranea e ai roseti, infatti, si ammirano noci americani, aceri giapponesi, yucca o l’albero della nebbia, così chiamato per le sue infiorescenze a piumino rosa simili a zucchero filato.


Le tracce della storia
Nel 1921 Gelasio Caetani, esponente di una famiglia da sempre regnante nella zona, iniziò la bonifica e il restauro di alcuni ruderi di Ninfa, in particolar modo della torre e del municipio, per farne una residenza estiva; inoltre, sotto la guida della madre Ada Wilbraham, che aveva già realizzato un bell’orto botanico a Fogliano, iniziò a piantare diverse specie botaniche che portava dai suoi viaggi all’estero. In seguito Marguerite Chapin e Lelia Caetani durante gli Anni Trenta, diedero al giardino una struttura all’inglese. Ninfa ospitò diverse personalità di spicco del ‘900 come il poeta Gabriele D’Annunzio o lo scrittore Boris Pasternak, autore de Il dottor Živago. Lelia Caetani, senza eredi, fu l’ultima rappresentante della famiglia Caetani, che dopo oltre settecento anni estingueva il suo casato: la donna però, prima della sua morte, avvenuta nel 1977, diede vita ad una fondazione, chiamata Roffredo Caetani di Sermoneta, alla quale intestò oltre al castello di Sermoneta anche il giardino ed è ancora tale fondazione che oggi si occupa del parco. Intorno al giardino a partire dal 1976 è stata istituita un’oasi del WWF a sostegno della flora e della fauna del luogo, che la bonifica della palude aveva portato alla scomparsa.
Attraversando il giardino… tra vegetazione e ruderi
Percorrendo il giardino di Ninfa in diversi momenti ho avuto la sensazione di trovarmi all’interno di uno dei quadri di Claude Monet e dei suoi amici impressionisti, direttamente catapultata in quell’universo di colori e ninfee, di fiori e ponticelli, d riflessi d’acqua e vegetazione che vi si specchia… Ma in aggiunta alla rigogliosa natura che subito colpisce l’occhio e rapisce, all’interno del giardino si possono ammirare anche i resti architettonici di Ninfa a partire da alcune delle chiese dell’antico borgo. Santa Maria Maggiore era la chiesa principale e fu con molta probabilità costruita a partire dal X secolo e ampliata nella prima metà del XII secolo. Oggi vediamo i ruderi del perimetro esterno, dell’abside e del campanile. Si trattava di una chiesa a tre navate: la navata centrale era coperta da un tetto a spiovente, mentre le due laterali avevano delle volte in muratura. L’abside è semicircolare e sono ancora riconoscibili due affreschi, uno raffigurante San Pietro, risalenti al 1160-1170.
La chiesa di San Giovanni è databile intorno all’XI secolo ed oggi ne rimangono soltanto alcuni resti che rendono difficile ricostruire la sua struttura originaria: forse era a navata unica, con diverse cappelle laterali e un’abside semicircolare, ancora oggi in parte visibile e su cui restano tracce di affreschi rappresentanti degli angeli. Nei pressi della chiesa di San Giovanni è possibile osservare un noce americano, diversi meli ornamentali, un acero giapponese a foglia rosa, un faggio rosso, un acero a foglie bianche e un pino a foglie di color argento. Alle spalle della chiesa di Santa Maria Maggiore una bignonia gialla, un gruppo di yucca e diversi roseti, mentre presso la facciata principale si trova il famoso albero della nebbia.


L’acqua è l’elemento centrale e vitale che caratterizza Ninfa: il lago ed il fiume, che da esso fuoriesce, danno vita ai fossati, che circondavano la città medievale, agli stagni e ai ruscelli presenti all’interno del giardino, ulteriormente arricchito dalla presenza di piccole sorgenti. Il fiume Ninfa era attraversato nel borgo da due ponti, di cui uno di epoca romana, il più antico, e un altro chiamato del Macello: si tratta di un ponte a due campate, costruito a ridosso delle mura difensive e sul suo nome esistono due ipotesi. La prima vuole che durante una battaglia, i nemici cercassero di entrare in città passando proprio attraverso il fiume, ma all’altezza del ponte i ninfini li colpissero con numerose lance rendendo l’acqua di colore rossa a causa del sangue versato; la seconda ipotesi, molto più probabile, è che nei pressi del ponte sorgesse un edificio dedicato alla macellazione della carne, andato completamente perduto.
Il ponte a due luci cattura con la sua magia ogni visitatore, ogni scrittore, ogni artista. All’esterno della cinta muraria si eleva un maestoso pioppo, inserito nell’archivio degli “Alberi Monumentali d’Italia”. La Via del Ponte attraversa il fiume Ninfa sul Ponte Romano, avvolto dai romantici intrecci di un glicine dai grappoli di fiori violacei, affiancato da una photinia serrulata, gelsomini e prima di arrivare al ponte di legno un gruppo di bambù provenienti dalla Cina, i cui steli eretti e flessuosi racchiudono la Sorgente dei Bambù. Un doppio filare di lavande introduce al Piazzale dei Ciliegi. Sulle mura di cinta sono visibili i ruderi della chiesa di San Biagio e una densa bordura di piante arbustive e erbacee perenni che degrada verso il prato erboso.



Alla fine del percorso c’è il Piazzale del Municipio, risalente al XII sec., ristrutturato nei primi del Novecento per convertirlo a villa di campagna, dove i Caetani ospitavano amici, intellettuali e artisti: di esso possiamo ammirare la rocca, con la torre alta 32 metri, e le graziose bifore.
Come disse Marie Luise Gothei, «Il giardino è movimento, vita, l’architettura è fissità e cristallizzazione; ecco perché, forse, l’una ha così bisogno dell’altro. In questo rapporto-scontro il giardino è stato a volte l’ancella, a volte la signora».



IL GIARDINO DEI TAROCCHI
«Il Giardino dei Tarocchi non è il mio giardino, ma appartiene a tutti coloro che mi hanno aiutata a completarlo. Io sono l’architetto di questo giardino. … Questo giardino è stato fatto con difficoltà, con amore, con folle entusiasmo, con ossessione e più di ogni altra cosa, con la fede. Niente e nessuno avrebbe potuto fermarmi. Come in tutte le fiabe, lungo il cammino alla ricerca del tesoro mi sono imbattuta in draghi, streghe, maghi e nell’Angelo della temperanza».
Con queste parole l’architetto e artista francese Niki de Saint Phalle presenta quella che lei stessa definisce “la più grande avventura della sua vita”.

Il progetto
Durante un viaggio in Spagna Niki de Saint Phalle scoprì l’opera di Antoni Gaudí e ne fu fortemente colpita; in particolare, il Parc Güell a Barcellona ebbe una grossa importanza nella sua decisione di costruire un suo giardino di sculture, fornendole anche l’ispirazione di fare di materiali diversi ed oggetti trovati gli elementi principali della sua arte. Dopo il ricovero all’ospedale per un ascesso ai polmoni, causato dal pluriennale lavoro col poliestere, Niki soggiornò a St. Moritz per un periodo di convalescenza. Là incontrò Marella Caracciolo Agnelli che nel 1950 ca. conobbe a New York. Niki espresse all’amica il suo sogno di creare un giardino di sculture le quali si sarebbero dovute basare sulla simbologia delle carte dei tarocchi. In seguito i fratelli di Marella, Carlo e Nicola Caracciolo le misero a disposizione un terreno della loro proprietà a Garavicchio in Toscana ove realizzare il suo sogno.
Il progetto del Giardino dei Tarocchi, situato a Pescia Fiorentina, frazione di Capalbio, occupò per ben vent’anni a partire dal 1979 il pensiero e la forza creativa di Niki che trascorse la maggior parte del suo tempo tra le colline e la Maremma. Il terreno fu pulito e disboscato e furono gettate le fondamenta: Niki fu impegnata prevalentemente nella costruzione del suo Giardino, ottenendo l’aiuto di numerosi suoi amici e seguaci; l’architetto francese, affiancata da operai specializzati e da un’èquipe di artisti contemporanei tra cui spiccano i nomi di Rico Weber, Sepp Imhof, Doc Winsen e il marito Jean Tinguely che ha creato alcuni assemblaggi meccanici semoventi, si dedicò alla realizzazione di 22 imponenti figure, rappresentanti gli Arcani maggiori, ricoperte di specchi, vetri e ceramiche colorate. I tarocchi sono formati da 78 carte ma gli Arcani maggiori sono 22 come le 22 sculture del Giardino: il Sole, la Luna, il Papa, la Giustizia, l’Imperatore, la Torre di Babele, la Morte, il Diavolo, la Stella ecc. tutte ricoperte con coloratissime decorazioni a mosaico, alcune ciclopiche e molte di loro percorribili, collegate tra loro grazie a viuzze sopra le quali sono scritti nomi, numeri, pensieri, citazioni care all’artista.



Nei meandri del giardino
Appena superato l’ingresso del giardino, il sentiero principale conduce alla grande piazza centrale, dominata dal volto azzurro della Papessa. Emblema dell’inconscio irrazionale, la Papessa (espressione della carta n. II) è considerata “la grande sacerdotessa del potere femminile dell’intuizione… una delle chiavi che portano alla saggezza. Rappresenta il potenziale dell’irrazionale inconscio. Coloro che vogliono spiegare gli avvenimenti soltanto con la logica e i ragionamenti rimangono inevitabilmente in superficie e non riescono a penetrare la realtà con l’immaginario e la visione istintiva”. Da un punto di vista iconografico la scultura si ispira all’orco del parco tardorinascimentale di Bomarzo, seppur ingigantita e sormontata dalla testa del Mago, simbolo di energia, luce, malizia e creatività. Dalla bocca della Papessa sgorga l’acqua che confluisce nella fontana centrale, dove è collocata la grande scultura semovente realizzata da Tinguely che rappresenta la Ruota della Fortuna, la ruota della vita. Da qui prendono avvio itinerari differenti.
Tutto il giardino è una continua sorpresa. Immersi nella vegetazione si trovano queste colossali rappresentazioni, realizzate in cemento armato e metallo e interamente ricoperte di specchi, vetri e ceramiche colorate che evocano le tipiche forme dilatate da Matisse a Picasso. Le sculture che caratterizzano lo stile di Niki de Saint Phalle sono le Nanas: sculture con sembianze femminili a grandezza naturale e dalla forma un po’ grottesca, da lei ideate e create. Il termine spagnolo “Nanas” significa “ragazzine di piccola statura”. Le troviamo visibili nella fontana con giochi d’acqua all’interno del castello dell’imperatore e in molte sue figure femminili raffigurate.
Le statue sono l’ultima tappa del percorso artistico iniziato dalla Saint Phalle nella seconda metà degli Anni Sessanta, quando l’artista allontanò dal Nouveau per approdare a queste grandi opere tridimensionali femminili dalle rotondità accentuate, alcune delle quali sono percorribili e abitabili.


All’ingresso troviamo il Mago (Carta n. I) il grande giocoliere: “Per me il mago è la carta di Dio che ha creato la meravigliosa farsa di questo mondo nel quale viviamo. È la carta dell’intelligenza attiva, della luce, dell’energia pura, della creazione e del gioco”. Spicca la fortezza dell’Imperatore, una cittadella fortificata il cui loggiato è costituito da 22 colonne, in numero uguale a quello delle carte. Questo è l’arcano che meglio raccoglie l’eredità di Gaudì: ricoperto da vetri di murano e murrine, specchi francesi, boemi e cecoslovacchi, l’Imperatore è simbolo del maschile, dell’ambizione e del potere. Gli si contrappone la carta dell’Imperatrice-Sfinge, identificata come l’opera più rappresentativa dell’intero complesso, non solo perché l’artista ne fece sua abitazione personale ma perché questa scultura enorme e opulenta, con il corpo esageratamente formoso rivestito di una molteplicità di ceramiche, viene identificata come la regina del cielo, sacra magia e civilizzazione. All’interno della di questa gigantesca scultura sono addirittura colllocate una stanza da letto, un soggiorno, una cucina e il bagno con una singolare doccia a forma di serpente. Tutte le pareti sono interamente rivestite da frammenti di specchi, creando un suggestivo effetto da labirinto e casa degli specchi…
Tra le altre opere va ricordata la Temperanza, grande scultura-igloo creata per celebrare la memoria dello scomparso Jean Tinguely e dell’amico Menon, le cui fotografie sono all’interno dell’ambiente ricoperto da ceramiche e specchi di varia forma, innescando uno spaesante effetto caleidoscopico di curve riflesse e deformate. Uno spazio magico e infinito, dunque. Proseguendo il percorso, ci s’imbatte nel Matto, giovane simbolo del caos, dello spirito e dell’entusiasmo, con cui s’identifica l’artista stessa.

Non voglio andare avanti nella descrizione delle altre singole, meravigliose e incredibili opere d’arte contemporanea presenti nel Giardino perché credo che sia giusto che ogni visitatore possa scoprire dal vivo tutti i meandri di questo magico e surreale regno in cui l’artista ha voluto ridisegnare il percorso interiore e artistico della sua stessa vita… un viaggio tra natura, arte ed esistenza che solo fino a un certo punto può essere illustrato ma che per essere colto va vissuto, catapultandosi in questo crogiolo di colori, allusioni e forme che il Giardino custodisce in attesa del prossimo viandante.