“Una delle peggiori tragedie dell’umanità è quella di rimandare il momento di cominciare a vivere. Sogniamo tutti giardini incantati al di là dell’orizzonte, invece di goderci la vista delle aiuole in fiore sotto le nostre finestre.” (cit. Quinto Orazio Flacco).
Questi sono solo alcuni dei versi di Orazio, l’intellettuale latino del “carpe diem” che invita a non fidarsi del futuro ma invece ci spinge ad assaporare ogni momento della vita presente. Il sommo poeta ci incita ancora oggi a brindare con il suo “Nunc est bibendum”, “Ora è il momento di bere”, e nelle sue liriche piene di sentimento non dimenticò di citare le bellezze naturali della sua terra, porta di confine tra antica Apulia, Lucania e Sannio, facendo spesso riferimento alla dolcezza dei boschi della sua patria.
E oggi è proprio dell’antica colonia romana di Venosa che vogliamo parlare, per ripercorrerne insieme la storia e soprattutto riviverne la bellezza.
Infatti ogni strada, ogni vicolo, ogni angolo, ogni monumento del borgo senza tempo di Venosa sono espressione della cultura che nei secoli ha permeato la città, dando origine a espressioni artistiche e architettoniche di incredibile valore.
SULLE TRACCE DI ORAZIO – ARIA DI POESIA
Gli abitanti di Venosa hanno sempre sentito molte forte il legame con l’antico poeta Orazio tanto da dedicargli una delle più importanti piazze del paese al cui centro hanno collocato una sua statua, sotto cui troviamo la seguente epigrafe: “Nacqui l’8 Dicembre del 65 a.C. presso Venosa del Vulture al confine con la Lucania”.
Anche se Orazio trascorse a Roma, in qualità di intellettuale del Circolo di Mecenate, la maggior parte della sua vita, abbiamo a Venosa numerose tracce delle sue origini a partire da quella che la tradizione indica essere la sua casa nativa. Le sue opere sono piene di riferimenti ai luoghi dell’infanzia, la mitica “Fons Bandusiae”, “il procelloso Ofanto”, “l’infido Adriatico” oltre alle già citate “selve del Vulture”, luogo del cuore in cui dove il poeta rimembra le corse da bambino.

UN PASSO INDIETRO NEI SECOLI
Etimologia ed epoca romana
La storica città di Venusia, il cui nome secondo alcuni sarebbe stato dato dall’eroe Troiano Diomede in onore di Venus, la dea della bellezza e dell’amore, per placare l’ira della Dea offesa nella guerra di Troia, mentre secondo altri trarrebbe origine da “vinum” in riferimento all’abbondanza e alla bontà dei suoi vini, risulta esistente già dal Paleolitico Inferiore, come dimostrato anche dal ritrovamento di reperti preistorici in località Loreto. Un’altra ipotesi è che il nome sia legato alle vene d’acqua da cui il borgo è attraversato.
Grazie al processo di romanizzazione, iniziato nel 291 a.C. con il prolungamento della Via Appia, il centro acquistò importanza fino a divenire un Municipium. A partire dal 70 d.C., si verificò anche la formazione di una colonia ebraica, testimonianza straordinaria di incroci di popoli come si può notare sulla collina della Maddalena, appena fuori dalle mura fortificate: qui sono visitabili ancora nelle sue cavità sia le sepolture ebree sia quelle degli abitanti cristiani.
Dal Medioevo ai nostri giorni
Nell’Alto medioevo, Venosa fu occupata dai Longobardi e dai Bizantini e, successivamente, subì ripetute incursioni Saracene. Qui nacque Manfredi Lancia Hohenstaufen, figlio naturale di Federico II e Bianca Lancia. Il momento di svolta si ebbe durante la dominazione normanna, grazie anche alla presenza benedettina, periodo durante cui si sviluppa il complesso della Santissima Trinità, il monumento storico più importante della città oraziana.
Con gli Angioini Venosa passa agli Orsini e sarà fondamentale per la cittadina la presenza del duca Pirro del Balzo, il quale che fece edificare il castello, costruito dal 1460 al 1470 insieme alla cattedrale di Sant’Andrea, la quale sarà terminata nel 1502 e consacrata nel 1531.
Ai Del Balzo seguirono i Gesualdo, feudatari e principi di Venosa e tra XVIII e XIX secolo Venosa passò dai Ludovisi ai Caracciolo finché nel 1820 ebbe una buona rappresentanza della carboneria, mentre con l’Unità d’Italia, nel 1861, fu conquistata dai briganti del rionerese Carmine Crocco.
RESPIRANDO ARTE
Quasi tutte le strade della città portano alla piazza centrale, Piazza Umberto I, dov’è possibile visitare il castello di Pirro del Balzo, circondato da un profondo fossato, oggi sede della Biblioteca nazionale e del Museo archeologico nazionale.

Nel punto in cui è collocato il castello nel 1042 dodici signori normanni si spartirono il territorio lucano e pugliese. Qui vi era prima una antica Cattedrale romanica, dedicata a san Felice, il santo che visse il martirio a Venosa ai tempi di Diocleziano, la quale fu abbattuta per far posto al maniero costruito quando, nel 1443, Venosa venne portata in dote da Maria Donata Orsini a Pirro del Balzo, figlio del duca di Andria.
Il Castello di Pirro del Balzo
In origine vi era una fortificazione a pianta quadrata, difesa da una cinta muraria dello spessore di 3 metri, con torri cilindriche angolari, priva degli stessi bastioni che furono completati nella metà del secolo successivo. Anche se il castello nacque come baluardo difensivo, successivamente, con i Gesualdo divenne dimora del feudatario. In seguito ai danni subiti per scosse sismiche nel corso dei Seicento, la roccaforte venne ricostruita dai Caracciolo con l’aggiunta di nuove parti come l’elegante loggiato al piano nobile, nell’intento di riaffermare il potere signorile sulla città che rimpiangeva i vanti del glorioso passato.
Oggi quando ci si accinge a visitare il Museo posto all’interno, all’inizio del ponte di accesso, si possono vedere due teste di leone provenienti dalle rovine romane: passeggiando per le stradine di Venosa si incontra spesso questo elemento ornamentale ricorrente in un borgo che è ricco di statue, incisioni e blocchi di pietra antichi situati in contesti nuovi, fuori dal tempo, grazie alla politica attuata in passato di costruire e restaurare attingendo dai materiali delle rovine antiche. Possiamo notare la presenza del leone in pietra anche nella famosa fontana di Messer Oto, edificata tra il 1313 e il 1314, a seguito del privilegio concesso dal re Roberto I d’Angiò con cui si consentiva alla città di avere le fontane nel centro abitato.

IL SIGNIFICATO SIMBOLICO DEL LEONE
Il leone guardiano di un luogo sacro. Partendo dalla convinzione che i leoni nascessero con gli occhi aperti (Plutarco), era diffusa nell’antichità la credenza che questi fossero aperti sempre; ecco perché le loro statue venivano poste a guardia di un luogo sacro. Tale tradizione continuò anche in epoca cristiana, come testimoniano le coppie di leoni collocate in epoca medievale ai lati dell’ingresso delle chiese romane.
Il leone simbolo di resurrezione. In base alla lettura del “Physiologus“, un bestiario alessandrino del II/IV secolo d.C. che raccoglieva descrizioni di animali molto più antiche e spesso inattendibili, la leonessa partoriva morto il suo piccolo, quindi lo vegliava per tre giorni finché arrivava il padre che gli soffiava sul volto, donandogli la vita (Aristotele e Plinio il Vecchio). Questa antica tradizione spiega per quale motivo il leone fosse spesso rappresentato nelle religioni salvifiche (culto di Iside, culto di Cibele e cristianesimo).
La possibilità di incrociare ad ogni passo elementi appartenenti a un altro tempo rende particolarmente suggestiva la passeggiata a Venosa perché si ha la costante e crescente sensazione di attraversare nello stesso momento molti tempi diversi e, nel frattempo, di essere in un borgo senza tempo.
Uscendo dal castello, alla sua destra, si può ammirare la facciata barocca della Chiesa del Purgatorio detta anche Chiesa di San Filippo Neri, edificio di culto che piacque così tanto agli abitanti di Venosa che costruirono anche una statua per il cardinale Giovan Battista De Luca che lo volle edificare, ponendola davanti alla chiesa. Possiamo anche ammirare una delle fontane storiche del borgo, la fontana Angioina o dei Pilieri, situata nel luogo dal quale, fino al 1842, si accedeva alla città attraverso la porta cittadina detta appunto “fontana”.


La Cattedrale
Continuando a passeggiare dopo aver costeggiato la chiesa, si può imboccare via Vittorio Emanuele e dopo aver percorso la strada, soffermandosi sui vari pannelli dedicati al poeta Orazio, si giunge a Largo Vescovado dove non si può non osservare l’imponente Cattedrale di Sant’Andrea Apostolo, chiesa costituita da tre navate modulate da archi a sesto acuto, edificata a partire dal 1470. Da notare il campanile annesso alto 42 metri a tre piani cubici e due a prisma ottagonali, una cuspide piramidale con grande sfera metallica in cima, sormontata da una croce con banderuola. Sempre per la politica di riuso dei materiali a cui ho già fatto riferimento il materiale per la costruzione fu preso dall’Anfiteatro Romano e questo spiega il perché siano inseriti dentro le pareti dell’edificio iscrizioni latine, e pietre funerarie.

Ma il fiore all’occhiello del borgo è in località San Rocco, uno spazio che sembra essere rimasto aggrappato a un altro mondo, proiettando il visitatore in una specie di dimensione multitemporale: a pochi metri l’uno dall’altra possiamo infatti osservare l’antico parco archeologico, la chiesa dell’Incompiuta e la splendida Abbazia della Trinità, luoghi sacri fortemente legati all’origine della dinastia normanna.
IL PICCOLO MONDO ANTICO DI VENOSA
Dalla chiesa di San Rocco è possibile accedere al parco archeologico che racchiude i resti monumentali della colonia latina di Venusia dal Periodo repubblicano all’Età medievale. Proprio il fatto che ci sia stata un’assenza di sovrapposizioni edilizie sull’area urbanizzata, tra il Periodo romano repubblicano e l’Età medievale inoltrata fa del parco archeologico un unicum in Italia per quanto concerne le città esistenti le cui origini risalgono a prima di Cristo. Anche questo aspetto contribuisce a rendere Venosa un borgo senza tempo.

All’interno del parco ci sono le terme realizzate nel I sec. d.C. e ristrutturate fino al III sec. d.C., i quartieri abitativi, tra cui una domus con mosaici e un isolato delimitato da due assi viari basolati. Sulla parte opposta della strada che taglia in due l’area archeologica sorgeva l’Anfiteatro, di forma ellittica, la cui costruzione può farsi risalire all’età giulio-claudia per le parti in muratura in opera reticolata, all’età traiana-adrianea per l’opera muraria mista. Dopo il periodo romano l’anfiteatro fu smontato pezzo per pezzo e i materiali sottratti furono usati per qualificare l’ambiente urbano della città e quindi si sono conservate le tracce solo dell’antica forma che prevedeva tre piani.
L’ABBAZIA DELLA SANTISSIMA TRINITÀ
Si erge come una sorta di fondale maestoso del percorso del parco archeologico l’Abbazia della Santissima Trinità, integralmente restaurata, eccezionale per il fatto di conservare in sé tutte le sue diverse fasi costruttive, con il conseguente suggestivo incrocio di stili: dalla domus romana imperiale al complesso episcopale paleocristiano testimoniato pavimento e dal mosaico all’ingresso della chiesa, all’impianto abbaziale benedettino risalente all’epoca normanna fino alle tracce lasciate dai Cavalieri di Malta che vi soggiornarono fino al 1800.

La parte posteriore dell’Abbazia è occupata dalla chiesa dell’Incompiuta che resta l’unico caso visibile di un fenomeno che normalmente si doveva verificare quando si costruiva una chiesa nuova sul luogo di una più vecchia: si lasciava in piedi la prima fino al momento in cui la nuova non fosse in grado di assumere le funzioni di quella più antica. La chiesa nuova fu iniziata dai Benedettini con l’idea di ampliare la chiesa precedente e costruire un’unica vasta basilica. I lavori s’interruppero per probabili problemi economici e perché i Benedettini furono costretti nel 1297 a lasciare Venosa per volere di Bonifacio quando ormai erano stati alzati i muri perimetrali e i pilastri. Il colpo d’occhio dell’Incompiuta oggi è mozzafiato, con le mura che disegnano il perfetto profilo di una grande croce e delimitano un’area che ha per pavimento il prato e al di sopra esclusivamente il cielo.


LE CURIOSITÀ LEGATE ALL’ABBAZIA
La colonna dell’amicizia e dell’amore
“Siete andati a girare la pietra?” Fino a poco tempo a Venosa invece di chiedere a una coppia se si fosse sposata si era solito chiedere ai fidanzati se fossero andati a “girare la pietra” nell’Abbazia della Santissima Trinità, dove è collocata una colonna detta colonna dell’amicizia, attorno alla quale sono avvolte tante braccia: la leggenda prediceva che se due persone avessero abbracciato la colonna prendendosi reciprocamente la mani sarebbero state legate da eterna amicizia. Dall’amicizia poi l’auspicio si è focalizzato sui matrimoni in quanto la credenza voleva se fossero stati i coniugi ad abbracciarsi attorno alla colonna ciò avrebbe suggellato in modo sacrale l’unione. Ancora oggi ci sono donne inoltre che, non riuscendo ad avere figli, vanno a strofinarsi sulla colonna con un triplo giro per evocare un antico rito di amore e fertilità.
Il ripudio di Alberada
All’interno dell’Abbazia nella navata sinistra c’è un’elegante tomba marmorea, quella di Alberada, moglie ripudiata da Roberto d’Altavilla detto il Guiscardo. Su di essa c’è un’incisione: “Se stai cercando mio figlio puoi trovarlo a Venosa”. Il figlio citato altri non era che Boemondo, famoso condottiero di cui parlò anche Tasso nella Gerusalemme liberata. Il destino ha voluto che nella navata destra ci fossero invece proprio le tombe degli Altavilla e secondo alcune fonti non certe e da verificare vi sarebbero sepolti anche i corpi del Guiscardo e dei suoi tre fratelli.



LA NUOVA VITA DEL BORGO
Tanti sono stati finora i richiami ai segni tangibili della storia e del glorioso passato del borgo. Ma come e dove si svolge oggi la vita della cittadina? Venosa è un borgo piccolo e compatto che può essere attraversato a piedi piacevolmente, abbandonando le arterie e le piazze principali e perdendosi nel folto e intricato gomitolo di vicoli che si snodano dalle vie maggiori. Purtroppo proprio questi vicoli storici sono stati negli anni oggetto di spopolamento. Eppure era proprio qui che si svolgeva in passato la vita della comunità: spazi animati dal mercato del pesce, donne dirette verso le piccole chiese, grotte che conservavano vino e dimore dei braccianti agricoli.
Anche per riqualificare questa realtà è nata a Venosa l’Associazione familiari antistigma “Alda Merini”. La onlus nacque nel 2009 per iniziativa di alcuni genitori di pazienti affetti da disturbi psichici; l’obiettivo era cancellare lo stigma della malattia mentale e favorire progetti culturali e sociali di inclusione. Il motto ispiratore dell’associazione due versi: “dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fiori” tratti dal brano Via del campo di Fabrizio De André. Sulla scia di queste note e dei versi oraziani si è dato vita nel borgo lucano a un progetto di miglioramento degli spazi urbani mediante l’arte.
Progetti di valorizzazione
Ad esempio nel 2016 per contro-invertire la tendenza all’isolamento del centro storico alcuni artisti hanno deciso di lavorare per creare un contesto attrattivo partendo da materiale da riciclo al fine di realizzare opere da posizionare sui muri di case vuote. Tutti scelsero di ritrarre lo stesso soggetto: un angelo, figura di confine fra terra e cielo e così nel 2018 Venosa ha inaugurato vico degli Angeli.
Nei vicoletti si osservano volti conosciuti, come quello della pittrice messicana Frida Kahlo o quello di Anna Frank. Non solo immagini, ma anche parole colorano il centro disabitato: è possibile imbattersi in versi, citazioni, strofe o dipinti su porte, panchine, facciate delle case.




Inoltre tra i progetti permanenti del borgo che ho particolarmente amato la “Biblioteca del vicolo”, una casetta in legno situata in varie stradine che sollecita il bookcrossing e lo spirito di condivisione, invitando a prendere un libro posto da qualche passante sui ripiani lasciandone un altro al suo posto.
Tutte le iniziative artistiche e sociali ammirate a Venosa hanno lasciato la speranza che il borgo possa vivere una rinascita in linea con la sua millenaria storia.
Soluzione onirica
Proprio di recente ho scoperto con gioia che qualche mese fa in largo Manfredi, nel cuore del centro storico della città di Orazio, le mura si sono colorate grazie all’intervento artistico della giovane venosina Rossana D’Andretta, laureanda in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. La giovane artista ha voluto lanciare un messaggio ai giovani residenti o di passaggio nella sua città di origine. Soluzione onirica è il nome del murales fatto dalla pittrice in collaborazione con l’Associazione familiare antistigma “Alda Merini”, che ha voluto ospitare sulla facciata della nuova sede questa manifestazione di speranza. Si pensa di creare all’interno di questo spazio un atelier di pittura per bambini affetti dallo spettro autistico, che non vediamo l’ora sia realizzato.


Venosa è un borgo in cui è piacevole rifugiarsi anche solo per passeggiare tra le viuzze, passare sotto gli archi, leggere i molteplici messaggi custoditi dalla città, chiacchierare con i proprietari delle botteghe come il simpaticissimo ed eccentrico Moreno proprietario di uno di quei luoghi in cui puoi trovare di tutto dagli abiti e i gioielli da cerimonia agli oggetti di antiquariato, scena o arredo, fermarsi in una delle spettacolari trattorie del borgo a degustare i fantastici prodotti della tradizione enologica e culinaria lucana.
PROFUMI E SAPORI DEL TERRITORIO
Se infatti la città oraziana può incantare viaggiatori di passaggio con la ricchezza del suo patrimonio artistico, non si può non riconoscere che altrettanto ricca sia la produzione della sua terra. I piatti tipici di Venosa sono legati a ricette che appartengono alla cultura popolare dei lucani, all’insegna di radici antiche e ingredienti del contado. In un’economia povera come è stata sempre quella lucana, il “primo piatto” ha sempre rivestito un ruolo da protagonista, di solito realizzato con pasta fatta in casa unita a legumi o verdure.
Alcuni piatti che è impossibile non citare
- Cavatelli con le cime di rape, pasta fatta in casa con cime di rape e con soffritto di aglio olio e peperoncino (c’è anche la versione con l’aggiunta di peperone crusco).
- Lagane e ceci, fatti con farina di grano duro, ceci, aglio, pomodori, olio di oliva, sale e una foglia di alloro, una piatto anche detto “piatto del brigante”. Secondo i racconti popolari infatti sembra che i briganti, che infestavano nella seconda metà del XIX secolo i boschi del Vulture, fossero soprannominati “scolalagne” per le grandi abbuffate di pasta.
- Strascinati mollicati, nati dalle mani delle massaie che con passione si dedicavano di buon mattino alla preparazione di questa pasta “povera”, fatta senza uova, ma esclusivamente con acqua e farina, probabilmente devono il proprio formato di pasta alle orecchiette baresi. Qui questa pasta casereccia ha subìto una rielaborazione diventando leggermente più spessa e dalla forma più larga rispetto alle orecchiette di un tempo. Se gli strascinati erano accompagnati per lo più ad ortaggi e verdure oggi si accompagnano a cavolo, pomodoro e mollica fritta, donde il nome di “strascinati mollicati”.
- U Cutturidd, carne di pecora (i pastori utilizzavano spesso carne di animali vecchi e improduttivi) aromatizzata con olio, lardo, pomodori, cipolla, patate, peperoncino, prezzemolo e caciocavallo podolico stagionato.
- Baccalà con peperoni cruschi, il piatto emblema della Basilicata: baccalà lessato con aggiunta di peperoni crusci soffritti nell’olio EVO

Se la cucina offre grandi specialità possiamo non ricordare che Venosa ha uno dei maggiori vitigni italiani grazie alla produzione di Aglianico del Vulture?
Il rapporto con il vino
L’Aglianico venosino è tra i maggiori vini rossi DOCG d’Italia grazie al perfetto connubio tra la ricca ed equilibrata composizione del terreno di origine vulcanica tipica del Vulture e il clima delle dolci colline di Venosa. Ha un colore rosso rubino con riflessi violacei e un sapore vellutato e tannico. Nel periodo romano l’importanza di questo vino è testimoniata da una moneta bronzea, coniata nella città di Venusia nel IV secolo a.C., raffigurante Dionisio che regge con una mano un grappolo di uva e il monogramma VE.
Ritorniamo allora ad alcuni dei tanti versi che il poeta Orazio dedicò al vino della sua città nativa: «Il vino è un gran cavallo, per un poeta lepido; ma se tu berrai acqua, non partorirai nulla di buono». Immergendomi in questo spirito simposiale, l’augurio che rivolgo a me stessa, ai miei amici borgonauti e a tutti noi è di tornare presto a viaggiare, calpestare il suolo di una cittadina come quella di Venosa e brindare con un grande calice di vino alla storia millenaria che si respira in questo borgo senza tempo, all’altezza della quale potremo essere solo se riusciremo a far sì che luoghi come Venosa non siano musei o bomboniere da ammirare ma luoghi sempre vivi e attivi che possano continuare ad essere teatro della storia presente e futura.